Tic tac! Tic tac!Harry si passò una mano tra i capelli.
Tic tac! Tic tac!Si agitò sulla sedia.
Tic tac! Tic...«Le sette!» quasi urlò e a stento si trattenne dal balzare in piedi.
Rita Skeeter strabuzzò gli occhi, contrariata e visibilmente offesa: la penna prendiappunti verde acido sospesa su un foglio di pergamena interruppe bruscamente il suo lavoro.
«Sono le sette, devo tornare a scuola» disse lui in fretta e aggiunse, più per cortesia che vero rammarico «Mi dispiace».
«Signor Potter, questo è tutto quello che ha da dire?» cominciò la Skeeter con un tono di voce che nascondeva malamente la delusione, controllando le poche righe della pergamena «Le assicuro che dalla lettera della sua amica non sembrava affatto» accompagnò questa affermazione con un ultimo sguardo indagatore.
Harry si concentrò per sembrare più ingenuo possibile, voleva andarsene al più presto da quella stanza esageratamente profumata di lavanda: l’odore gli dava la nausea e la compagnia non era delle migliori.
«Molto bene allora» si arrese infine la giornalista, ricadendo sconfitta sulla poltrona «Mi dia il tempo di mandare il gufo con le sue dichiarazioni alla Gazzetta del Profeta, poi potrà andare»
Harry trasse un sospiro di sollievo.
«Ma intanto pensi alla mia proposta, sarebbe un delitto non scrivere almeno una biografia sulla sua straordinaria…»
«No, non mi interessa, davvero» tagliò corto Harry prima che lei potesse inforcare di nuovo gli occhiali rossi e attaccare con altre domande sconvenienti; ne aveva abbastanza per una vita intera.
Rita Skeeter sbuffò come una bambina viziata a cui era appena stato tolto il più bel giocattolo del mondo, raccolse la penna prendiappunti e la pergamena rosa pallido e si incamminò verso una porta aperta con fare risoluto.
Fece un cenno con la mano a Harry biascicando un «Torno subito» seguito da parole pronunciate con un tono di voce volutamente troppo basso per essere udito dal ragazzo.
Harry, finalmente solo, si alzò dalla scomoda seggiola in legno dove era stato costretto per quasi quattro ore, sottoposto ad una serie di insopportabili interrogatori. Percorse il salotto di Rita Skeeter a grandi passi facendo scricchiolare il parquet e osservando il singolare arredamento: le poltroncine ricoperte di cashmere verde chiaro, perfettamente in tinta con le tende color smeraldo e la moquette che ricopriva interamente le pareti, stazionavano al centro della sala affiancate da un basso tavolino di vetro con due tazze di tè appoggiate sopra. Harry sorrise osservando la sua tazza ancora piena di liquido marrone chiaro: la prudenza, quando si aveva a che fare con una strega come la Skeeter, non era mai troppa.
Continuò a ispezionare la stanza con pigrizia: librerie a muro colme delle opere della padrona di casa, fotografie che la ritraevano in compagnia di uomini celebri e un basso soprammobile in pietra che ritraeva una grande ciotola cosparsa di diamanti grezzi, unico particolare stonato in quella sinfonia di colori perfettamente coordinati.
Harry vi si appoggiò ripensando al motivo per cui si trovava lì: incredibile fosse stata proprio Hermione a consigliargli una visita alla giornalista più insopportabile di tutto il mondo magico. La breve intervista fatta da Angelina, a detta della ragazza, non bastava a far conoscere la verità sulla battaglia di Hogwarts alla comunità magica e, ora che la Skeeter per qualche ignoto motivo aveva ricominciato a scrivere per la Gazzetta del Profeta, era giusto che la storia divenisse nota.
Questo non era bastato a persuadere Harry, convinto che il vero motivo di quell’improvviso slanciò di generosità di Hermione fosse dettato da ben altre motivazioni: pensava infatti che i sensi di colpa della ragazza l’avevano indotta ad offrire alla giornalista un articolo coi fiocchi su un piatto d'argento e, per quanto non fosse un suo grande fan, Harry riconobbe che la Skeeter non aveva avuto vita facile per un bel pezzo proprio a causa della giovane strega.
Nonostante questo si pentì profondamente di essersi lasciato addolcire dalla bontà di Hermione: chissà quali storie avrebbe ricamato la giornalista sulle poche parole di Harry!
Il ragazzo fece in tempo a completare quel funesto pensiero che il suo gomito, comodamente appoggiato sulla pietra, scivolò bruscamente e il suo corpo si sbilanciò tanto da farlo cadere di faccia sul soprammobile intagliato. Si accorse troppo tardi che era pieno di un liquido scuro, si accorse troppo tardi che quel liquido non l’aveva bagnato e troppo tardi si rese conto che stava precipitando nel pensatoio di Rita Skeeter.
Harry fu avvolto da un turbinio di immagini sfocate, mentre impotente volava tra i ricordi di una vita intensa e spregiudicata; quando il suo viso venne bruscamente a contatto con il freddo marmo urlò di sorpresa. Era a terra, a braccia aperte e occhi chiusi. Rimase in quella posizione qualche secondo, in apnea: sapeva di essersi introdotto nei ricordi della Skeeter, era in grado di riconoscere un salto temporale dopo tante avventure con i pensatoi, ma era combattuto tra la curiosità e la paura di ciò che avrebbe potuto vedere.
Respirò a fondo analizzando la situazione: l’aria era statica interrotta solo da vaghi mormorii e da… non era possibie! Harry spalancò gli occhi e balzò in piedi: file di panche in legno, un alto soffitto e, come aveva percepito, il respiro dei Dissennatori lo circondavano. Per qualche istante si ritrovò al quarto anno, immerso nei ricordi di Albus Silente ad assistere a una serie di condanne nelle segrete del Ministero, ma non era Silente quello affianco a lui: una Rita Skeeter non molto diversa da quella che aveva appena lasciato nel suo salotto osservava il centro della sala con vivo interesse, pronta per l’inizio di un processo.
Harry seguì il suo sguardo: Kingsley Shacklebolt, si stava alzando dalla panca centrale; indossava l’abito color prugna con una “W” d’argento ricamata sul petto che lo indicava come membro del Wizengamot. Lo sguardo fiero e la sua aria di superiorità bastava a mettere in soggezione gran parte dei presenti. Se teneva lui l’udienza, pensò Harry, la data di questo ricordo non doveva essere molto lontana.
«Fateli uscire, è inerme» disse il Ministro con voce profonda. Due Auror corpulenti si avvicinarono al centro della segreta, conducendo un cinghiale e un orso bruno d’argento verso i Dissennatori. I demoni, indeboliti dai patroni, di ritrassero nell’ombra.
Solo allora l’attenzione di Harry si volse verso la sedia dell’imputato: la conosceva bene, le catene animate stringevano i polsi e il busto del soggetto ritenuto pericoloso fino a non lasciargli libertà di movimento , ma il ragazzo notò subito che era del tutto superfluo. L’uomo sedeva immobile, senza opporre resistenza, il capo inclinato in avanti così da coprire coi capelli corvini il volto devastato. Non fosse stato per il fremito d’angoscia nel respiro ben udibile poteva essere morto.
«Rodolphus Lestrange» cominciò Kingsley portando il silenzio nella schiera di maghi e streghe «Sei stato condotto di fronte a questa corte perché colpevole di esser stato al servizio di Lord Voldemort durante la sua ascesa e di aver effettuato, insieme ad altri nove Mangiamorte, un evasione dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban nel gennaio del 1996. Neghi tutto questo?»
Il silenzio che si dilatò nella sala per i pochi secondi che seguirono queste parole fu interrotto da una risatina nervosa, isterica, continuata. Le mani di Rodolphus Lestrange tremavano violentemente e il tintinnare delle catene si unì alla risata sempre più forte, sempre più spaventosa, sempre più folle dell’imputato. Diventò quasi un urlo disperato prima che tutto ripiombasse nel silenzio.
Harry si accorse di aver portato involontariamente le mani alla gola, come se l’angoscia di quell’uomo si fosse insinuata anche in lui: respirava a fatica, una goccia di sudore corse lungo la sua schiena. Non era l’unico visibilmente sconcertato da quella reazione.
«Neghi tutto questo?» ripeté il Ministro a voce più alta; le parole rimbombarono nella segreta con la stessa intensità di un gong, amplificate dal silenzio e dall’alto soffitto «Lo neghi? Neghi di essere stato un fedele seguace di Lord Voldemort?»
«NO!»
Alzò la testa con lo scatto repentino di un serpente che attacca, gli occhi scintillanti, la bocca distorta in un sorriso orrendo e l’eco dell’urlo di diniego ancora nelle orecchie. Magro come un teschio, il colorito verdognolo di chi non vede la luce del sole da tempo ma gli occhi di fuoco. Harry comprese che difficilmente avrebbe scacciato quello sguardo dalla propria mente molto presto: tormentato come la terra battuta dal vento, un vento troppo forte e impetuoso per poter sopravvivere. Un inferno di dolore, possedeva quelle pupille ormai vacue e rese folli da una vita di atrocità, fatte e subite.
«Non… lo… nego» sputò queste tre parole tra i denti serrati, il corpo scosso da tremiti incontrollabili.
«E neghi di aver compiuto torture su suo ordine?» continuò Kingsley.
«Non… lo…»
«Omicidi per conto di Lord Voldemort?»
«Non… »
«Ogni genere di efferatezza?»
«NON LO NEGO!» La voce dell’accusato divenne disumana il volto tirato in un sorriso ancora più folle del precedente, spietato «Non nego nulla! Non mi pento di nulla!» urlò prima di ricadere in una risata senza controllo, inarcando la schiena e dimenandosi come sotto tortura.
«Per questo io, Kingsley Shacklebolt, Ministro della Magia e Stregone Capo del Wizengamot chiedo ai giudici…»
«Sudici filobabbani!» gridò Lestrange in preda al delirio.
«Di condannare a vita, nella prigione di Azkaban il qui presente Rodolphus Lestrange così che possano i Dissennatori ripagare le crudeltà di una vita intera con la giusta moneta».
A queste parole il mormorio crescente dei magistrati, sbalorditi e palesemente spaventati dal comportamento del soggetto proruppe in un coro di approvazione. Diedero il loro consenso con un forte applauso, probabilmente atto a sovrastare le risa forsennate del Mangiamorte, mentre più della metà dei maghi si alzava in piedi, trionfante.
«Fateli entrare!» ordinò allora il Ministro riportando i colleghi alla calma. Il desiderio di concludere rapidamente l’esecuzione era ormai evidente e, Harry notò, condiviso da gran parte dei giudici, tanto che alcuni già lasciavano la sala.
I Dissennatori fecero il loro ingresso strisciando avidi verso la loro prossima vittima, ma prima che potessero raggiungere il condannato, quello levò il capo e con gli occhi al soffitto tuonò:
«Accetto le conseguenze delle mie azioni: che io possa marcire ad Azkaban per il resto dei miei giorni! Ma una consapevolezza mi rallegra: la stella rossa brilla ora nel cielo come l’era dell’Oscuro Signore brillerà nella storia, per sempre»
La risata di Rodolphus Lestrange rimbombò a lungo nel silenzio e nelle orecchie di Harry smarrito.
*
«Ho cercato su tutti i libri di Astronomia della biblioteca e… niente! Non ho trovato alcun riferimento ad un astro la cui luce è rossa in natura o un sortilegio che possa far mutare di colore una stella»
«Ma andiamo Hermione è così chiaro!» esclamò Harry esasperato.
«Cos’è che dovrebbe essere chiaro?» bofonchiò Ron alzando la testa dalla torta di mele.
«Hai ascoltato il discorso o parli solo perché hai la bocca?» lo rimbeccò Ginny con un’occhiataccia.
Erano seduti nella Sala Grande illuminata dalla luce della luna e, nonostante la cena fosse finita da un pezzo ed erano rimasti i soli seduti ai lunghi tavoli, Hermione aveva ancora davanti il suo piatto di arrosto e Ron mangiava per solidarietà la terza fetta di torta. Dopo il ritorno di Harry e il racconto di ciò che aveva accidentalmente visto tra i ricordi della Skeeter, la ragazza era corsa in biblioteca, dove era rimasta per tutta la serata cercando una scappatoia all’inevitabile pensiero di Harry; a giudicare dall’espressione frustrata e i capelli scompigliati, inutilmente.
«E’ chiaro» riprese Ginny «Che la stella di cui parlava quell’infame è…»
«Minami» dissero in coro Harry, Ron e Hermione, il primo con convinzione, il secondo sinceramente sorpreso e la giovane con un sospiro rassegnato.
«Non c’è altra spiegazione, quel Lestrange sa qualcosa» concluse la Weasley. Lei e Harry ne avevano discusso tutta la sera, concordando che non poteva essere stata una frase casuale o una coincidenza, ma Hermione non voleva arrendersi a loro ragionamento.
«Se anche questo fosse vero» cominciò «Se il Mangiamorte avesse parlato proprio di Minami» Harry sbuffò seccato «Perché Kingsley non ci ha fatto caso? Perché non l’ha notato? Era presente Harry!»
«Te l’ho detto, non ha pronunciato la parola “Minami” e comunque Kingsley aveva fretta di chiudere l’udienza, non penso abbia dato importanza alle ultime parole di un pazzo» rispose lui.
«Mi chiedo perché dovremmo farlo noi» biascicò Hermione.
«Perché è importante» ribatté Harry deciso.
«No invece, potrebbe non esserlo Harry!» disse la ragazza alzando la voce «So dove vuoi andare a parare, so cosa vorresti scoprire ma ti stai solo creando false illusioni secondo me»
«Non credo di capire» si intromise Ron che aveva seguito il battibecco con vago interesse.
«Harry» cominciò Hermione senza togliere gli occhi carichi di disapprovazione dal Prescelto «Pensa che in qualche assurdo modo Minami, e quindi la Setta del Sacro Fuoco, possano essere collegate a Voldemort. Non dirmi che non è vero, ti si legge in faccia! Solo perché un Mangiamorte fuori controllo, catturato dopo la Battaglia di Hogwarts, ha nominato una stella rossa che potrebbe essere Minami non vuol dire che ora tutto torni»
«Non ho detto che è tutto chiaro Hermione…»
«Ti dico solo di non illuderti» lo interruppe lei.
«… ma sono convinto che Rodolphus Lestrange sappia molto più di quanto possiamo immaginare. Le nostre informazioni sulla Setta, su questi continui attacchi e sul mistero della stella sono scarse e io voglio capire: se parlare con un ex Mangiamorte detenuto ad Azkaban è l’unico modo, bene, andrò da lui» disse Harry con uno sguardo che non ammetteva repliche.
Si voltò verso Ginny e gli occhi verdi si accesero di una luce antica, una fiamma che i suoi amici non vedevano dal tempo della ricerca degli Horcrux: una fiamma di speranza.