Ce l'ha il vecchio :roll:

La donna si materializzò nel bosco, nel consueto punto, sotto una maestosa quercia secolare.
La pioggia irrorava il suolo e un penetrante odore di terra bagnata si levava verso il cielo sino a pizzicare le narici.
Si guardò intorno, quella foresta era simile alla maggior parte di quelle che popolavano il resto del mondo magico: era tutta un groviglio di rami che si intrecciavano a formare una fitta ragnatela sopra la sua testa. Tra le foglie secche, le radici nodose si rincorrevano su un terreno accidentato e irregolare. Anche stando perfettamente immobili, si poteva sempre percepire qualche strano e inquetante suono, si aveva la strana impressione che gli stessi alberi fossero vivi e che, nascosti da qualche parte nella perenne oscurità, ci fosse qualche creatura intenta ad osservare e pronta ad attaccare chiunque si fosse avventurato in quei luoghi.
Ma essa aveva qualcosa che la distingueva da tutte le altre, sembrava sofferente, malata, triste.
La donna si avvolse nella sua pelliccia e fece un passo in avanti, a testa alta, negandosi il riparo offertole dalla quercia e permettendo all'acqua di bagnarle il volto.
Fu proprio in quell'istante che arrivò, da dietro, senza che nessuno lo vedesse, si insinuò tra i rami, serpeggiò fra gli steli d'erba e fece sussultare le foglie; quel soffio gelato di vento la fece trasalire, ma solo per un battito di ciglia, quando riaprì gli occhi realizzò che la folata gelida che precedeva sempre l'arrivo di quell'abominevole essere, non aveva trovato nel suo animo un solo briciolo di felicità o speranza di cui valesse la pena nutrirsi: quelli erano sentimenti che non conosceva più da molto tempo, ormai.
Non appena il Dissennatore percepì la somiglianza fra la propria anima e quella di colei che gli stava di fronte, volse la sua attenzione verso qualcosa di più appetitoso e la donna, guardandosi alle spalle, vide che la quercia appassiva lentamente. Poi, distogliendo lo sguardo da quell'orribile spettacolo, s'incamminò e sparì nella notte.


Il rudere era alquanto trasandato, ricoperto di edera che non sembrava mai sazia di logorarne i mattoni rossi.
Si fermò davanti al portone di legno e bussò tre volte, come le era stato riferito.
«Quando si è spento il sacro fuoco?» domandò la sfinge sul batacchio d'ottone, fissandola di sottecchi.
«Sempre arde il sacro fuoco» recitò a memoria.
La porta si aprì da sola, come mossa da vita propria, la lasciò passare e si chiuse alle sue spalle.
Nonostante il fuoco scoppiettasse nel camino, il freddo pervadeva quella stanza, tanto quanto all'esterno.
«Che notizie porti Tuli?» una voce femminile, dal tono cavernoso e autoritario, risuonò in tutta la sala, come un eco, ma l'oscurità le impediva di individuare da quale punto provenissero quelle parole. Ruotò lentamente su se stessa, con gli occhi vigili, alla ricerca di un volto. Ma fu solo quando qualche candela si accese, al battito di due mani, che si rese conto di essere da sola in un'enorme sala vuota.
«Spero per lei che siano buone» Si voltò di scatto. Un uomo aveva appena varcato la soglia della stanza e si stava avvicinando a lei.
«Zitto [nome asiatico]. Sei l'ultimo che dovrebbe parlare! Il tuo fallimento a Hogwarts è stato solo motivo di imbarazzo. Sconfitto da maghi insignificanti» gracchiò qualcuno con un'intonazione infantile; quella che sembrava una bambina emerse dal buio, ma il corpo tozzo e il lungo naso aquilino non lasciavano alcun dubbio sul fatto che si trattasse di una creatura magica.
«Non accetto critiche da una che a mala pena sa usare una bacchetta» ribattè l'uomo con un ghigno dipinto sul volto.
«Comunque sia, adesso, non è questo il nostro problema» tagliò corto la voce, non lasciando al folletto il tempo di ribattere.
«Lasciateci!» sentenziò, spaventando i topi. Tutti fecero un passo indietro, all'unisono, come richiamati dalle stesse tenebre da cui erano emersi.
Un velo di silenzio calò sulla stanza, si adagiò sullo strato di polvere che decorava ogni mobile e colmò lo spazio vuoto fra le molecole di ossigeno sino a rendere irrespirabile l'aria.
«Vieni avanti Tuli». La ragazza si guardò intorno. Confusa, di nuovo.
Come se la stanza avesse letto i suoi pensieri, nel camino nacque un fuoco dalle sfumature accese che, divorando i grossi pezzi di legno accatastati l'uno sull'altro, iniziò a crescere pian piano, illuminando il luogo tanto quanto bastava per permetterle di orientarsi e di far scorrere lo sguardo alla ricerca di ciò che stava cercando, indisturbata dall'ostacolo dell'oscurità.
«Sono qui». Gli occhi della creatura saettarono repentini in direzione del movimento che avevano catturato appena sopra il camino. Incastonato nella parete dalla tappezzeria vecchia e ormai logora, c'era uno dei più bei manufatti che le mani di un folletto avessero mai realizzato. Il volto di una sfinge, di un pregiato marmo, si mostrava nella sua reale maestosità, quasi fosse viva e i suoi occhi di smeraldo guizzavano ovunque per poi soffermarsi ad analizzare il viso di Tuli.
«Non sembri molto convinta di quello che fai» la bocca della scultura si mosse per lasciar fuoriuscire le parole.
«Credo nei miei ideali e, cosa ancora più importante, credo nei vostri» ribattè la ragazza.
«Questo mi basta» riprese la voce. «Ma ti sei dimostrata all'altezza del compito che ti ho assegnato?» continuò in un sussurro.
«Ce l'ha il vecchio».
«Ahahah. Bene, molto bene».