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 Capitolo 25 - Ricordi Oscuri

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LadyProffa

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MessaggioTitolo: Capitolo 25 - Ricordi Oscuri   Capitolo 25 - Ricordi Oscuri EmptyLun Nov 10 2014, 22:56

La mattina successiva Harry prese il mantello e scese a fare colazione. La tavola era imbandita quasi come a Hogwarts; l’Elfo si stava dando un gran daffare per accontentare Hyde che, come al solito, sembrava perennemente insoddisfatto. Si sedette e prese un paio di muffins; Draco era seduto in fondo al tavolo e sembrava concentrato nei suoi pensieri mentre girava il cucchiaino nella tazza. Harry era indeciso se rivelare l’indizio relativo alla Setta del Fuoco Sacro: avrebbe dovuto parlare loro anche della filastrocca e non sapeva se fosse il caso. Aveva scritto a Hermione per raccontarle quello che aveva scoperto Draco: sperava che in biblioteca avrebbe potuto scoprire qualcosa di più sulla dimora dei Peverell, ma non aveva ancora ricevuto risposta, e ormai stavano per partire.
Hyde si alzò ed indossò un pesante giaccone. «Complimenti per il guardaroba, biondino… anche gli abiti babbani li scegliete di lusso qui, eh!» si rivolse a Draco che si stava allacciando il giubbotto di piume d’oca. Harry non ne poteva più delle loro frecciatine, così prese il gomito dell’ex-Serpeverde in maniera scortese per incitarlo a muoversi e uscirono nell’aria fredda del mattino.
Si Materializzarono con un sonoro CRAC in un vicolo di Godric’s Hollow: le villette che costeggiavano la stretta stradina erano innevate e dalle finestre si intravedevano ancora le luci delle decorazioni natalizie che, grazie ai loro bagliori colorati, illuminavano ad intermittenza il selciato coperto di neve. Una cinquantina di metri più avanti, era possibile scorgere le luci di diversi lampioni che illuminavano l’obelisco situato nella piazza principale.
«Bé, per chi non c’è mai stato, benvenuti a Godric’s Hollow!» disse Hyde cerimonioso, mollando teatralmente la presa dalle loro braccia.
«Smettila di fare lo sbruffone e concentriamoci su quel che dobbiamo fare. Non sono stato sveglio quattro ore stanotte solo per ascoltare il tuo stupido show!» ribatté Draco superando il compagno e dirigendosi verso l’imboccatura del vicolo.
Nemmeno dopo aver passato un po’ di giorni insieme a Villa Malfoy facendo ricerche sulla Setta, Draco e Bryan avevano smesso di dimostrare il loro disprezzo l’uno per l’altro, punzecchiandosi a vicenda tutto il tempo. Nonostante la compagnia non fosse delle migliori, Harry era contento di trovarsi nuovamente nel suo paese natale.
Seguendo Hyde, i tre si diressero in silenzio verso il centro del villaggio, passando al margine della piazza. La neve ghiacciata sui lastricati era compatta, dura e scivolosa ed era possibile notare le numerose serie d’impronte lasciate dagli abitanti durante la giornata precedente che il nevischio leggero non era ancora riuscito a coprire. Prima di voltare l’angolo per imboccare un’altra strada secondaria, Harry spostò lo sguardo verso il centro della piazza per cogliere l’espressione pacifica e felice sul volto delle statue dei suoi genitori che erano magicamente comparse al posto del monumento ai caduti. Riuscì anche a intravedere in lontananza la chiesetta gotica ed il cancello del piccolo cimitero. Continuarono a camminare in silenzio per una decina di minuti sino a raggiungere le ultime case del villaggio.
«Ma dove stiamo andando?» chiese Draco evidentemente indignato. «Non potevi portarci direttamente sul posto invece che farci fare la visita guidata di questo stupido paesino?»
«Non è possibile Materializzarsi direttamente nel castello...» rispose secco Hyde. «Ho già tentato quest’estate».
«Ma cosa pensate di trovare esattamente in questo castello? Ok, va bene, sappiamo che la Setta è collegata al mio antenato e, di conseguenza, ai Peverell; ma a cosa può davvero servirci visitare un vecchio maniero, abbandonato sicuramente da secoli? Sarà rimasto poco o niente…» protestò Draco.
«Speriamo che ci sia almeno un libro, un qualcosa che descriva come mai i Peverell e la Setta siano legati. Proprio perché il maniero è appartenuto ad Ignotus Peverell è probabile che al suo interno vi sia qualche scritto che ci aiuti a capire chi siano e come affrontarli» precisò Harry, che non voleva ancora rivelare il ruolo dei Doni in questa storia. Era fondamentale che la Bacchetta restasse al sicuro dietro al quadro, lontano dalle mani di chiunque.
«Non faccio fatica a immaginare che gli americani possano credere per filo e per segno alle favole, ma anche tu Potter! Ti credevo meno rimbambito!» disse l’ex Serpeverde ironico.
«Quante volte te lo devo dire? I Peverell non sono solo una favola. Ho visto la tomba di Ignotus Peverell qui al cimitero del paese lo scorso inverno. Che poi abbiano ricevuto i Doni dalla Morte in persona o meno, non si può mettere in dubbio che fossero dei maghi molto potenti se sono finiti addirittura tra le leggende! Penso solo che saperne qualcosa in più possa darci un vantaggio contro la Setta» rispose Harry calmo.
«Quest’estate, infatti, ho passato qui diverse settimane alla ricerca della casa dove era vissuto Ignotus Peverell» aggiunse Bryan, poi, spostando lo sguardo su Harry, con un sorriso compiaciuto continuò: «non sono certo venuto a Godric's Hollow per osservare stupidi ragazzini che si Smaterializzano con noncuranza davanti ai passanti, maghi o Babbani che siano ...».
«Falla finita Hyde! Ci manchi solo tu» gli intimò Harry, scatenando nel compagno un ghigno divertito. Tutta la faccenda stava diventando ancora più sospetta alla luce delle informazioni dell’americano: quell’estate Ron non era ancora stato rapito, quindi il motivo per cui Hyde aveva deciso di aiutarlo non era lui. Perché mai gli avesse proposto di collaborare e cosa ci facesse a Godric’s Hollow ancora non l’aveva svelato e chissà quando l’avrebbe fatto. Decise di tacere ancora, ma la sua pazienza stava arrivando al limite.
Intanto, guidati dall’americano, si erano inoltrati in un sentiero di campagna: la neve non era stata spalata ed era difficile continuare a proseguire il cammino dato che il terreno era nascosto sotto la coltre bianca.
«Da questa parte» li esortò Hyde, dando loro le spalle. Harry lo seguì leggermente preoccupato: l’ultima volta che gli aveva dato retta erano stati attaccati dalla Setta.
Camminarono ancora per un centinaio di metri poi Hyde rallentò. Il sentiero si inoltrava in un bosco e poco più avanti c'era una svolta a gomito oltre la quale non si riusciva a vedere niente. Poteva essere il luogo ideale per un'imboscata?
Dopo aver camminato con difficoltà per un altro paio di minuti, proprio nel punto in cui la stradina sembrava voltare dalla parte opposta inoltrandosi tra gli alberi della una foresta innevata, comparve alla loro destra un’ imponente sagoma, quasi invisibile nell’aria colma di neve. Sembrava appartenere ad una serie di edifici di tre, quattro piani affiancati ad una struttura che poteva assomigliare ad una torre circolare, non molto più alta del resto della costruzione.
I tre si avviarono con passo spedito verso il cancello. Harry non desiderava altro che trovarsi al chiuso per scongelarsi le dita che stavano raggiungendo una colorazione bluastra ed anche Draco e Bryan sembravano contenti all’idea di poter entrare in un luogo asciutto.
Una "I" e una "P" grandi e imponenti risaltavano dagli intrecci in ferro battuto che rincorrendosi l'un l'altro formavano le due maestose inferriate: erano indubbiamente giunti nel posto giusto.
Appena si avvicinarono al cancello d’ingresso, esso si aprì da solo come per accoglierli: Ignotus Peverell doveva essere, un tempo, un tipo cordiale.
«Non dovrebbe esserci nessuno, ma state pronti» intimò loro Hyde.
Harry si chiese, per l’ennesima volta, se era il caso di fidarsi di lui. Percorsero il vialetto sino a raggiungere il portone d’ingresso situato alla base della torre. Riparandosi gli occhi dalla neve con la mano, Harry riuscì ad osservare la facciata del castello che gli si parava davanti: vi erano delle grandi finestre al primo piano, poste subito sotto un grande balcone in pietra decorato, ed altrettante posizionate in corrispondenza al livello superiore; inoltre una serie di piccole feritoie spuntavano da sotto la merlatura all’apparenza pericolante. La vegetazione sembrava quasi essersi impossessata della struttura: molti rampicanti percorrevano tutta la facciata laterale intrecciandosi sino alla sommità della costruzione ed evidenziandone il degrado. Inoltre riusciva a scorgere, poco oltre la torre, un altro edificio con sopra una croce, che poteva essere una cappella.
Non sapeva perché ma il Maniero nel suo insieme gli ricordava molto Hogwarts, anche se in versione piccola e malridotta.
«Apri Hyde, mi sto congelando!» si lamentò Malfoy.
«Se non lo fa il nostro amico Potter, siamo bloccati fuori! Altrimenti non avrei aspettato tanti mesi e sarei entrato da solo da un pezzo!»
«Perché Potter?» chiese Draco confuso.
«Perché sono quasi sicuro che possa essere aperta solo dal proprietario o da un membro della sua famiglia…» commentò Hyde roteando gli occhi.
Harry si avvicinò al pesante portone ed afferrò uno dei due battenti a forma di testa di leone e cercò di spingerlo con quanta forza aveva in corpo, ma questo non si mosse di un centimetro. Si girò per ricercare una conferma da Hyde ma questo gli fece spallucce. Rimase un istante a fissare il battente: non c’era alcuna toppa nella quale inserire una chiave e non sembrava ci fossero chiavistelli o qualsiasi altro tipo di serratura. Ma come si può aprire? Poi di colpo gli venne un’idea. Afferrò nuovamente il pomello in ottone, lo sbatté più volte sul legno massiccio della porta e questa si aprì lentamente con un cigolio sinistro.
Quando, il giorno prima, Hyde aveva nominato il Maniero di Ignotus, Harry non si aspettava che l’americano fosse al corrente della sua parentela. Quanto sapeva davvero Bryan Hyde sui Doni e sui Peverell?
«Non mi pareva così difficile da aprire… anche se sicuramente non alla portata di un americano!» commentò Malfoy, poi si rivolse a Harry. «E quindi? Non vorrai dirmi che questa casa è tua, Potter?».
«Non ne ho la minima idea. Ma direi che forse è meglio parlarne all’interno. Si gela qui fuori!»
I tre ragazzi entrarono nel castello e si chiusero il portone alle spalle.
La sala che si presentò loro era molto più grande di quella che potevano immaginare dall’esterno: l’interno del palazzo doveva essere stato ingrandito con la magia; l’edificio apparentemente abbandonato dall’esterno, era invece lussuoso e accogliente all’interno. “Lumos” mormorò Harry e alla debole luce della bacchetta vide che tutto era ricoperto da uno spesso strato di polvere e lunghissime ragnatele pendevano ovunque. Pensò che se ci fosse stato Ron con loro sicuramente avrebbe fatto molte storie prima di entrare. Il pensiero dell’amico gli dette una stretta allo stomaco, si chiese se stesse bene. Quella era gente spietata e non si faceva molti scrupoli ad uccidere qualcuno.
Si trovavano in un grande e cupo atrio di forma circolare di cui si intravedevano a malapena i pavimenti in marmo bianco e nero: lungo le pareti scorrevano due rampe di scale che, partendo una da un lato ed una dall’altro, si rincorrevano apparentemente all’infinito conducendo ciascuna a piani diversi perdendosi nell’ombra. Vi era, inoltre, sulla parete di fronte a loro, una grande porta in vetro intarsiato e metallo che metteva in comunicazione con un altro ambiente nascosto dall’oscurità.
Draco agitò la bacchetta per verificare la presenza di altre persone nel castello, ma l’incantesimo non rivelò presenze estranee: erano soli.
Harry con un gesto della bacchetta accese le candele dell’enorme lampadario che pendeva sopra le loro teste e la stanza si mostrò nel suo massimo splendore: la luce illuminò tanto l’ambiente che ora era possibile scorgere anche una piccola rientranza nella parete da cui si dipartiva un’altra scala in pietra che scendeva verso quelli che dovevano essere i sotterranei. Alcune impronte adesso erano ben visibili sul pavimento: chi era entrato lì prima di loro?
«Se la passava bene, Ignotus!» disse con un ghigno Bryan rivolgendosi a Harry.
«Cosa facciamo adesso? Controlliamo prima il piano terra?» gli rispose, ignorando la sua battuta.
«Andiamo» risolse Draco, non volendo riconoscere a Hyde il ruolo di comando nella missione nonostante la sapesse più lunga sia di lui che di Harry.
Sorpassata la porta in vetro si trovarono in un grande soggiorno.
Hyde sfoderò la bacchetta dalla tasca e con un gesto, nel grande camino posto di fronte a loro, cominciò a scoppiettare un bel fuoco che illuminò debolmente la stanza. La flebile luce mostrò loro però una situazione inaspettata: i libri, prima disposti sicuramente nelle librerie lungo le pareti, erano stati gettati a terra, i quadri erano staccati dai muri, il grande tavolo da pranzo, collocato dall’altra parte della stanza, era spoglio e i soprammobili, che probabilmente vi si trovavano sopra, erano ora distrutti e sparsi sul pavimento insieme alla tovaglia. I tre ragazzi guardavano la sala attoniti: qualcuno li aveva sicuramente preceduti ed aveva setacciato il palazzo da cima a fondo.
«Conviene dividerci. Così potremmo perlustrare meglio ogni angolo. È evidente che qualcuno è riuscito ad entrare in qualche modo. Ma come?».
«Ok. Allora io salgo al primo piano» disse Harry serio.
«Io vado nei sotterranei e tu Draco rimani qui. Se hanno messo sottosopra questa stanza ci sarà sicuramente un motivo. Avvisate se trovate qualcosa di interessante».
Harry e Hyde si mossero verso la porta dalla quale erano entrati per poi dividersi nuovamente di fronte alla rampa di scale senza una parola. Saliti i gradini in marmo, Harry si fermò davanti alla porta del primo piano, che era possibile scorgere dall’ingresso. Entrò e si ritrovò in un corridoio abbastanza lungo e buio con porte appena percepibili su entrambi i lati.
«Lumos!»
Con la luce proveniente dalla punta della bacchetta era possibile, ora, notare maggiori dettagli: diversi quadri erano appesi alle pareti tra una porta e l’altra ed i nomi delle figure rappresentate erano scritti sulle targhette poste sotto le cornici. «Demetrius Peverell, Margaret Peverell, Augustus Wemberd, Antony Louis Wemberd...» diceva sottovoce Harry scostando le ragnatele e leggendo i nomi dei propri antenati.
Dopo averne guardati due o tre si rese conto che le loro espressioni avevano qualcosa di strano. Tornò indietro e li ripulì meglio per poterli guardare con più attenzione: sembravano spaventati. Continuò a scorrere con lo sguardo tutta quella serie di quadri antichi e polverosi e notò che erano anche tutti immobili: sembravano quadri Babbani. «Riesci a sentirmi?» chiese Harry, rivolgendosi ad un uomo barbuto che era ritratto nella tela più vicina, ma questi non gli rispose. La cosa era piuttosto strana: in un maniero di una casata così potente non potevano esserci dei dipinti che non sapessero parlare. Proprio al termine del corridoio c’era un’ulteriore stranezza: come chiudi fila di quella serie di volti sconosciuti e, quasi sicuramente tutti imparentati tra loro, vide che era posta una cornice di foggia più moderna. Il ritratto raffigurava un uomo piuttosto giovane, con un paio di occhiali rotondi e i capelli neri. Non fece fatica a riconoscere in quel mago suo padre, il quale fissava con aria preoccupata un punto imprecisato dietro a Harry. Il ragazzo si soffermò a guardarlo, desideroso più che mai di ascoltare la sua voce, ma nemmeno il ritratto di James si muoveva. Harry trasalì, riconoscendo il soggetto del dipinto ancora prima di leggere la targhetta. Quel mago era suo padre: James Potter. Sentimenti iniziarono ad invaderlo e nell’agitazione della scoperta iniziò a realizzare che avrebbe potuto parlargli. Continuò a guardarlo, sempre più desideroso di ascoltare la sua voce ma il suo ritratto si ostinava a stare fermo come tutti gli altri, fissando un punto imprecisato.
E, di fianco al suo ritratto, un’ultima cornice attirò ancora di più la sua attenzione: ciò che lo stupì non fu però la cornice in sé, ma piuttosto ciò che essa conteneva: assolutamente niente.
Harry pensò che fosse uno scherzo della luce, perciò si avvicinò, certo di trovarvi impresso un qualche volto rugoso. Ma quando fu proprio davanti al quadro poté constatare che non si era ingannato. Una tela completamente nera era appesa esattamente di fronte a lui e non sembrava voler dare alcun segno di una qualsiasi presenza al suo interno.
Il suo sguardo scivolò sulla targhetta che si trovava al di sotto del dipinto. Dopo averla pulita dalla polvere, apparve lucida come tutte le altre e portava impresso, a bei caratteri allungati, il nome della persona raffigurata nel quadro o che probabilmente vi sarebbe dovuta essere raffigurata.
Harry James Potter.
Com'era possibile che il suo nome fosse sotto quella cornice? Tornò a guardare i quadri precedenti, il silenzio nel corridoio era opprimente e si chiese cosa potesse essere accaduto. Erano sicuramente quadri magici, ma perché non si muovevano e perché non parlavano? Poi gli venne un’idea. Prese di scatto il suo borsello ed estrasse i Retroglass dalla tasca interna. Ricordò che, per vedere nel passato, doveva indossarli al contrario.
Li allontanò dagli occhi con cautela, cercando di scorgere qualche cambiamento; sembrava fosse tutto identico, finché si accorse che qualcuno era passato da quel corridoio. Harry mantenne gli occhiali in quella posizione e si concentrò su quello che vedeva attraverso: tre maghi stavano parlando con uno dei quadri appesi sulla parete, più o meno al centro della fila.
Harry li riconobbe: erano gli stessi con cui aveva combattuto qualche giorno prima. Avrebbe tanto voluto sentire quello di cui stavano discutendo, ma i Retroglass gli permettevano solamente di vedere gli eventi passati… non poteva udire voci e suoni. Il quadro con il quale stavano tentando di parlare aveva una cornice molto grande ed elaborata, ma evidentemente il suo abitante si rifiutava di fornire informazioni perché, quando arrivò un quarto mago, i tre presenti, con espressione buia e un’alzata di spalle, scossero la testa in segno di negazione.
Con un lampo di luce proveniente da una bacchetta il nuovo arrivato sembrò tentare di staccare dalla parete la cornice, ma evidentemente qualcuno vi aveva imposto un Incantesimo di Adesione Permanente, perché quella non si mosse dal muro.
Harry spostò gli occhiali di qualche millimetro: un attimo dopo, il mago corpulento, che Harry aveva incontrato sia a Hogwarts, sia a Little Winteroak, entrò nel corridoio, ma non era solo… «Ron!» esclamò Harry.
Il giovane ragazzo dai capelli rossi veniva tirato per un braccio dall’omaccione mentre gli altri parlavano concitati. Quest’ultimo scagliò un incantesimo verso i quadri, e i loro abitanti si immobilizzarono di colpo.
Ron si guardava attorno, spaesato: probabilmente era la prima volta che lo portavano in quel luogo. Aveva un’espressione angosciata; però, con grande sollievo di Harry, sembrava godere di buona salute.
Sempre trascinando malamente Ron, i cinque scomparvero oltre la soglia. Harry, guardò ancora attentamente, girando lo strano paio di occhiali a destra e sinistra, ma dopo aver constatato che non sarebbe successo niente’altro, abbassò i Retroglass e corse verso la cornice alla quale i maghi oscuri aveva prestato grande attenzione.
La targhetta recitava “Ignotus Peverell”; e così, finalmente, Harry aveva un’idea di quale aspetto avesse il suo antenato. Ma più che le sue caratteristiche fisiche, lo colpì la sua espressione angosciata: evidentemente l’interrogatorio dei nemici l’aveva turbato e l’incantesimo che avevano fatto l’aveva congelato nella sua espressione di disgusto e preoccupazione.
«Finite incantatem» sussurrò Harry, ma i quadri rimasero immobili. Tornò ad osservare il suo antenato, sperando di trovare qualche indizio vicino alla cornice, ma non c’era nulla di strano. Notò che il mago fissava un punto proprio di fronte a dove si trovava, quindi alle sue spalle.
Harry si girò e guardò con attenzione nella direzione in cui Ignotus volgeva lo sguardo. Non vide nulla di strano, se non un piccolo triangolo con un cerchio inscritto e, al suo interno, una riga verticale, inciso sul muro: il simbolo dei Doni. Si avvicinò e lo tastò, ma non accadde nulla. Poi toccò tutte le mattonelle vicine, senza alcun risultato. Dopo tutto quello che avevano scoperto su quel triangolino, con tutto quello che sapeva, avrebbe dovuto capire cosa fare, ma brancolava nel buio. La frustrazione lo assalì di nuovo, e poi, d’un tratto, un lampo di ispirazione gli attraversò la mente: forse doveva dimostrare di essere un erede, per ottenere qualcosa da quel disegno. Sfilò il Mantello dell’Invisibilità dalla sua saccoccia e se lo mise sulle spalle. Toccò nuovamente il simbolo sulla parete e su di essa, quasi all’istante, si formò un piccolo sportello di legno. Harry afferrò la piccola maniglia di rame e lo aprì osservando il contenuto del vano: un piccolo libretto tutto sgualcito e odorante di muffa.
Lo estrasse e si mise a sfogliarlo: Harry non conosceva quella lingua, era scritto con caratteri strani, non erano rune e, inoltre, quelle parole avevano qualcosa di familiare. Poteva essere una specie di francese antico?
Si tolse il Mantello e mise in tasca il libretto; lo sportello era svanito nuovamente.
Doveva avvertire gli altri. Quello che cercavano era lì nella sua tasca, pronto a essere letto.
Appena sceso al piano terra si diresse velocemente verso il soggiorno chiamando i suoi compagni a gran voce. Entrando vide Draco seduto mollemente su una poltrona di velluto e nessuna traccia di Hyde.
«Trovato qualcosa, Draco?» gli domandò, avvicinandosi al ragazzo.
«A parte tutta questa confusione? Non ho trovato niente di importante, se non quel Pensatoio sopra al mobile là nell’angolo ...»
Harry voltò lo sguardo verso il mobile che gli aveva indicato Malfoy e vide un oggetto diverso rispetto a quello appartenuto a Silente: sembrava un piatto in argento che rimaneva sospeso in aria sopra una consolle, con dentro un sottile strato di una sostanza liquida e scura. Avrebbero potuto essere ricordi, ma non ne aveva mai visti di quel colore.
«Strano… sembra l’unica cosa rimasta intera.… Quando ero di sopra ho visto con i Retroglass che prima di noi sono entrati quelli della Setta.»
«I Retro... che? Non importa, saranno roba Babbana. Ma allora sono stati loro a fare questo putiferio?» chiese Draco, laconico.
«I Retroglass sono degli occhiali magici americani! Ma lasciamo stare. Confermo che la Setta è stata qui.» ribattè Harry contrariato.
«Ah, ecco... americana. Ma allora... potrebbero averlo lasciato intero di proposito?»
«È quello che sospettavo anch’io» ammise Harry «Bé…vediamo se sono davvero ricordi».
In quel momento entrò Hyde di corsa nella stanza ed Harry distolse gli occhi dall'oggetto magico per parlare con l’americano.
«Che c’è?» chiese quest’ultimo coperto di ragnatele e con un po’ di fiatone. Sicuramente aveva fatto le scale velocemente. «Ho sentito chiamare, ma quei sotterranei sono un vero labirinto. Ci sono solo topi, polvere e ragnatele ovunque!»
«La Setta è stata qui ... e Draco ha trovato un Pensatoio» spiegò Harry che al momento era ben poco interessato ai sotterranei della residenza. «Ci stavamo chiedendo perché fosse l’unico oggetto rimasto intatto».
«Cosa? Sono stati qui?» chiese Hyde sorpreso. « E come hanno fatto loro ad entrare?»
«Ci penseremo dopo, ora guardiamo cosa hanno lasciato».
Le tre figure si avvicinarono in silenzio al mobile e osservarono per un lungo attimo la superficie increspata del Pensatoio.
«È nero» disse Malfoy con una nota di disgusto nella voce, poi con un po’ di riluttanza avvicinò il volto al Pensatoio e ne fu risucchiato dentro. Poi si avvicinò Harry e, chino in avanti, trasse un profondo respiro prima di precipitare nel ricordo. Quando atterrò si ritrovò accanto a Draco in un lungo corridoio appena illuminato dalla luce di una bacchetta. Altri tre maghi incappucciati si trovavano vicino a loro.
«Dove ci troviamo?» chiese Harry.
«Non ne ho la minima idea …» rispose l’americano appena apparso dietro di loro cogliendo al volo la sua domanda. «Però c’è da chiedersi più che altro il perché abbiano deciso di lasciare un ricordo e non un semplice messaggio ...».
Nessuno degli altri due compagni rispose. Le tre figure ammantate cominciarono a muoversi lungo il corridoio ed i ragazzi si misero a seguirli. Era possibile scorgere le volte basse e umide che, coperte da un sottile strato di brina e di muschio, luccicavano alla flebile luce della bacchetta del primo mago. Le pietre dei muri, irregolari ed instabili, sembravano pronte a cadere ad ogni minimo tocco e, incapaci di reggere il peso di quelle che le sovrastavano, a ridursi in polvere facendo crollare l’intera struttura. I tre maghi continuarono a camminare svoltando diverse volte per quel labirinto buio e freddo. Sfilavano, alla loro destra, una serie di porte con delle piccole finestrelle chiuse da sbarre.
«Oh cavolo!» disse Harry rompendo il silenzio assordante e rimanendo impietrito sul posto. «Questa dev’essere una prigione…»
«Azkaban…» continuò Malfoy con un sussurro, pronunciando il nome che era balenato a tutti e tre nella mente. «Siamo ad Azkaban...».
Gli sguardi di Harry e dell’americano confluirono inevitabilmente sul volto di Draco, che li ignorò, rimanendo completamente impassibile. Nonostante non vi fosse traccia dei Dissennatori sembrava che la loro passata presenza fosse rimasta incrostata, insieme al panico e agli incubi dei carcerati, alle pareti porose della struttura.
Ad un cenno del mago le ombre che lo seguivano si arrestarono. Spense la bacchetta e le tenebre li circondarono all’istante. Harry capì cosa li aveva fatti bloccare: si sentiva rimbombare nell’oscurità un suono sordo e cadenzato che si faceva sempre più forte. Il passo di un Auror.
Le tre figure attesero immobili qualche secondo che la luce della bacchetta della guardia si avvicinasse; poi il primo pronunciò sottovoce «Infernus Obscurus».
Dall’oscurità che li circondava iniziarono a muoversi dei sinuosi tentacoli di fumo che, come dei serpenti, strisciavano sulle pareti e sulla volta, rapidi e letali, in direzione del mago che si avvicinava ignaro. Di scatto, come lance, trafissero il petto dell’Auror, il quale cadde in ginocchio senza emettere neanche un suono per poi essere colpito da un raggio di luce verde che, fulmineo, saettò per il corridoio.
I tre maghi ripresero a camminare scavalcando il cadavere dell’Auror. I tre ragazzi non poterono fare altro che seguirli evitando lo sguardo perso nel vuoto dell’uomo che giaceva a terra esanime.
Come potevano essere tanto crudeli da voler mostrare loro proprio quel ricordo? Draco ne sarebbe stato distrutto. Guardò nuovamente la faccia del ragazzo: non trapelava alcuna emozione, sembrava che ogni suo sentimento fosse nascosto con forza dietro una spessa corazza.
Le tre figure si arrestarono davanti ad una porta. Quello che doveva essere il capo della spedizione fece un gesto con la bacchetta, poi parlò per la prima volta.
«Restate qui». La sua voce era calma e fredda come il ghiaccio. Quindi il mago oscuro superò la porta come se fosse fatta di fumo, mentre i compagni rimasero fuori a fare la guardia. Draco fu il primo a seguirlo a passo svelto, mentre Harry e Bryan entrarono subito dopo di lui.
Piombarono/ si ritrovarono in una cella circolare e piccola, col soffitto così basso da renderla ancora più claustrofobica. Le pareti erano state coperte di segni e scritte lasciati dalle unghie e dal sangue di coloro che avevano occupato quella prigione nei secoli passati, a partire dalla sua creazione. Tramite una grande grata, posta dal lato opposto alla porta d’ingresso, era possibile vedere il terrazzo in pietra che dava sull'oceano, dal quale, probabilmente, un tempo i Dissennatori si cibavano delle paure e degli oscuri ricordi degli occupanti.
Alla loro sinistra, su un pagliericcio, si trovava seduto un uomo dai capelli biondi, col capo chino in avanti, che fissava la tremolante luce di una candela posta di fronte a lui: Lucius Malfoy. Il padre di Draco.
Harry capì che era proprio come sospettava e, intuendo cosa stava per accadere, si sentì stranamente vicino a Draco. Il mago incappucciato fece un passo in avanti con fare elegante e l’occupante della cella, accortosi della sua presenza, indietreggiò improvvisamente tentando di avvicinarsi il più possibile al muro.
«Lucius, è così che si accoglie un vecchio amico?» gli si rivolse il mago con voce divertita.
Tirò indietro lentamente il cappuccio mostrando il volto: era giovane e alto. I capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo e il viso era coperto da una barba abbastanza corta e curata, dello stesso colore dei capelli. Per quanto avesse un bell’aspetto, il sorriso cattivo e gli occhi penetranti, grigi come il ghiaccio, gli conferivano un’aria misteriosa ed enigmatica.
«Despero?» rispose Malfoy con un filo di voce. «Perché sei qui?»
«Non si può fare una semplice visita ad un amico?» rispose quello con un ghigno.
Malfoy lo guardò con un aria interrogativa, tra il curioso e lo spaventato.
Il mago continuò: «Sono qui come membro della Setta. Hai qualcosa che ci serve».
A queste parole Lucius sgranò gli occhi visibilmente terrorizzato.
«Immagino tu sappia di cosa io stia parlando …».
«Non ho niente con me, te lo giuro!».
«Non sai mentire Lucius, non l’hai mai saputo fare. Legilimens!»
Malfoy cadde in ginocchio e Draco si mosse istintivamente verso di lui come per aiutarlo: il ricordo era ormai solo una lontana ombra di ciò che era accaduto, di un passato superato e irreversibile, loro non potevano più fare niente.
«Che sciocco, non ha senso che tu menta. Sai bene che i miei metodi per ricavare informazioni non si limitano alle semplici conversazioni amichevoli».
«Ti prego, lasciami in pace» disse Malfoy sconvolto, in tono di supplica.
«Sai bene che mi serve… Al-Nasl sta per brillare».
Lucius iniziò a spostarsi verso la grata del terrazzo. Le catene alle caviglie e ai polsi gli impedivano i movimenti. «Ti prego… No…» Si appoggiò alle sbarre, come se una maggiore distanza dal giovane mago potesse proteggerlo.
Draco assisteva attonito alla scena. I suoi occhi erano lucidi e muoveva lentamente la testa come per scacciare dalla propria testa quella visione.
Despero sorrise. Agitò la bacchetta e la grata si dissolse, facendo cadere Malfoy all’indietro sul terrazzo di pietra. Continuò ad indietreggiare strisciando mentre il mago veniva avanti.
«Lucius, perché tentare di scappare? È sufficiente che tu mi dia quel ciondolo»
«So a cosa serve, non vi lascerò distruggere la mia famiglia».
«Povero ingenuo. Crucio!». Draco emise un gemito vedendo il padre contorcersi per il dolore.
In quel momento il cielo notturno e coperto si colorò di rosso: la stella stava illuminando la terra da dietro la coltre di nubi. Da sotto la camicia di Lucius iniziò a intravedersi una luce che aumentava sempre più. Despero spalancò gli occhi eccitato. Con un gesto della bacchetta fece cessare l’incantesimo che torturava l’ex-Mangiamorte. Si avvicinò e si inginocchiò davanti a lui. Gli afferrò il mento con la mano e lo sollevò in modo che quegli occhi terrorizzati incontrassero i suoi. Sorrise nuovamente e con l’altra mano strappò dal collo di Malfoy il laccio di cuoio al quale era legato il ciondolo che sfavillava e lo mise in tasca senza distogliere lo sguardo. «Addio Lucius. Levicorpus».
La figura inerme cominciò a sollevarsi e a dirigersi verso il bordo del terrazzo: si bloccò solamente quando si trovò sospesa nel vuoto. Harry poteva sentire il forte rumore continuo e monotono delle onde dell’oceano che si infrangevano con impeto sugli scogli sottostanti .
«Ti prego, lascia in pace la mia famiglia».
«Amico mio, devo essermi dimenticato di rivelarti un piccolo particolare. Ci serve tuo figlio. Draco, giusto?»
«No lasciatelo… Per pietà!» riuscì a dire con voce strozzata dal dolore. A questo punto i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Certo, lo lasceremo. Noi non dovremo fare proprio niente, sarà lui stesso a venire da noi. Per vendicare la morte di questa povera, vile e meschina creatura che ha avuto come padre».
Lucius spalancò gli occhi. Despero fece solo un gesto con la bacchetta e le corde invisibili che tenevano l’ex-Mangiamorte attaccato alla vita si dissolsero facendolo cadere nel vuoto. L’urlo ed i singhiozzi di Draco si mescolavano al grido del padre che precipitava scomparendo nella nebbia che circondava la base della prigione.
Il ricordo cominciò a svanire per poi diventare completamente buio e scaraventarli fuori dal Pensatoio. Quando Harry riaprì gli occhi si trovavano nuovamente nel soggiorno del castello di Ignotus Peverell: Draco era inginocchiato a terra tremante, con le mani che gli coprivano il volto pallido rigato dalle lacrime; sul viso di Hyde, invece, regnava un’espressione confusa e scioccata che aveva preso il posto del suo solito ghigno di superiorità. Harry non sapeva assolutamente cosa fare o dire: gli sembrava di essere tornato indietro di due anni, quando aveva trovato Malfoy che piangeva nel bagno del secondo piano.
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Capitolo 25 - Ricordi Oscuri
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