Allora... questa storia nasce dalla partecipazione ad un concorso indotto dalla mia scuola a cui ho partecipato. Visto che comunque è un racconto ho deciso di condividerlo con voi
Capitolo 1Il cavallo era ormai allo stremo delle forze. Stava schiumando già da ore, ma il suo cavaliere non sembrava voler rallentare il passo. Lo strato di foglie secche che coprivano il terreno veniva sollevato ad ogni passo della cavalcatura creando un vortice attorno ad essa. Gli alberi ai lati del sentiero correvano via veloci.
D’improvviso, sbucarono tre sagome scure che cavalcavano altrettanti cavalli bardati di nero. Le loro intenzioni erano chiare: subito una freccia sibilò vicino all’orecchio del cavallo. Senza avvertenze, il fuggitivo spronò ancora l’animale che, seppur esausto, aumentò il passo. Nel frattempo, il fantino si era girato verso i suoi inseguitori.
Il suo corpo era alto e snello, indossava una lunga tunica verde trattenuta da una cintura marrone con fibbia d’argento a forma di foglia. I suoi lineamenti erano dolci e gentili, seppur in quel momento erano contratti in una smorfia. Era concentrato. Le sue esili dita si serrarono attorno all’arco e vi incoccò una freccia. Con gran maestria prese la mira e scoccò la freccia che si andò a conficcare in mezzo agli occhi dell’inseguitore centrale. Il corpo si afflosciò sul dorso della nera cavalcatura, poi venne sbalzato di sella e calpestato dai destrieri degli altri due uomini frementi di rabbia. Senza tanti preamboli un’altra freccia partì sibilando dall’arco e si andò a conficcare facilmente nell’occhio destro dell’inseguitore di sinistra. Cadde a terra senza tante cerimonie. L’ultimo uomo rimasto al seguito dell’arciere emise un verso rabbioso ed estrasse la spada. La lama brillò e l’uomo spronò il cavallo. In poco tempo guadagnò terreno e si affiancò alla preda che, nel frattempo, aveva estratto la propria arma. Fu l’uomo a sferrare la prima stoccata che fu deviata facilmente dall’arciere che, a sua volta, provò con un fendente. L’uomo si difese riportando velocemente la propria spada davanti a quella dell’avversario. Le lame cozzarono e il duello riprese più accanito di prima. Fendenti, stoccate, dritti e rovesci continuarono per un paio di minuti, alla fine fu l’arciere ad avere la meglio con un colpo orizzontale che mozzò la testa all’avversario. Il fiotto di sangue che seguì andò a imbrattare i biondi capelli del vincitore che imprecò a bassa voce. Cercò di pulirsi passando una mano sul capo e poi rallentò il passo fino a fermarsi.
Scese dal cavallo e si addentrò nel bosco tenendo le briglie dell’animale per mano. Camminò per una ventina di passi, poi si fermò in una piccola radura, legò il cavallo a una vecchia quercia e si girò di spalle. L’animale nitrì contrariato e il padrone si avvicinò al suo orecchio mormorando <<Sei stato bravo Ersul. Senza di te mi avrebbero catturato. Ora vado a cercare dell’acqua>> .
Il cavallo si calmò all’istante e sbuffò scarmigliando i capelli dell’elfo. Quest’ultimo ringraziò con un sorriso e si addentrò ancora tra gli alberi.
I passi leggeri della creatura avanzavano soavi sullo spesso fogliame ormai secco da giorni. La figura sembrava scivolare tra gli alberi mentre si avvicinava al ruscello che scorreva lì vicino. Giunto sulla riva s’inginocchiò sul fiumiciattolo e vi immerse le mani per poi passarsele su tutto il viso; il blu intenso degli occhi sembrò rinvigorito dall’acqua e tutti i segni della faticosa battaglia sparirono dal volto perfetto dell’essere. Ripeté l’operazione diverse volto finché non tirò fuori dalla tunica una borraccia e la immerse nell’acqua.
Quando ebbe finito, la creatura si alzò. Proprio nel medesimo istante, poco più in là un fruscio prese forma. Allarmato, l’essere estrasse la spada e disse con voce ferma e potente: << Chi è là? Siete forse un codardo che vi dovete nascondere dalla mia vista?>>
Alcuni secondi di silenzio, poi una voce dura e roca, facilmente attribuibile alla roccia stessa, si levò da una posizione indefinita aldilà del ruscello:
<< Conviene conoscere prima di giudicare, elfico amico. Mi duole che una nobile razza come la tua sia così veloce a impugnar l’elsa.>>
La voce si interruppe un attimo per poi riprendere: <<Ma veniamo al dunque mio amico. Io sono un nano del nord, precisamente della terra di Kakozan. Il mio nome è Uknak e sarò lieto di uscire allo scoperto se abbasserai la lama>>.
Dopo aver ascoltato attentamente le parole del nano, l’elfo depose la sua arma dicendo: << Sento che le tue parole sono sincere, Uknak. Mi fiderò di te facendo come mi ordini>>.
Alcuni secondi passarono dalla deposizione della spada. Infine, dalla fitta boscaglia, emerse una robusta figura alta al massimo un metro e venti, ma con una costituzione assai robusta. La folta barba bruna copriva il corpo fin all’altezza del torace, una fluente chioma castana ricadeva rozzamente sulle spalle del nano. Gli occhi, che in mezzo a quella peluria assomigliavano a bottoni di una camicia, erano di un verde intenso e il naso si presentava come una protuberanza tozza e grossa in mezzo al volto. Sul capo era posto un massiccio elmo di ferro con numerose borchie disposto sulla sua superficie, che proteggeva anche la nuca. Il piccolo corpo era protetto da una lucente cotta di maglia grigia tenuta da una cinta di cuoio alla quale era appesa una potente ascia bipenne sulla cui lama era incisa un’unica runa d’oro. Giunto al cospetto dell’elfo, quest’ultimo parlò con voce gentile: << Spero che la dura accoglienza non ti abbia turbato, amico. Ora permettimi di farmi perdonare secondo le usanze del mio popolo, offrendoti un pasto e una boccata di Erujan. Ormai la luna sta per iniziare il suo cammino in cielo e non è saggio rimanere nella foresta>>.
Il nano accettò l’invito e la coppia tornò alla radura quando ormai il sole stava scomparendo dietro le creste dei Monti Impervi a Ovest.
Giunti al cavallo, il nano ammucchiò della legna al centro dello spiazzo e, tramite un acciarino e un’esca appiccò un piccolo fuoco. L’elfo, nel frattempo, aveva preso dallo zaino appeso alle briglie del cavallo, un involucro protetto da foglie e una sacchetta di cuoio accompagnata da una pipa di legno. Seduti entrambi vicino al fuoco, l’elfo offrì a Uknak il contenuto dell’involucro: un grosso pezzo di galletta che l’ospite accettò di buon grado.
I due stettero per un po’ a consumare ognuno la propria razione poi, una volta finito, l’elfo prese la parola: <<Ora che il nostro stomaco è sazio, permettimi di presentarmi. Io sono Ledolar, elfo della terra di Gallerdan giù a Sud. Certamente il mio nome ti è noto a causa dell’incidente avuto con gli uomini, verificatosi alcune settimane fa...>>
L’elfo non terminò la frase, perché Uknak tossì sonoramente a causa di un boccone andatogli di traverso. Dopo aver inghiottito il pezzo di galletta, il nano iniziò a parlare: << Esattamente amico mio. La tua sortita ad Hawkletown ti ha reso famoso in tutta la contea. Permettimi di farti i complimenti per questa tua azione, che ha seriamente messo in allarme quei maledetti uomini. Inoltre vorrei informarti che sono qui a causa della reliquia che si dice tu abbia rubato alla città. Molti pensano che il “libro di Agmur” sia solo una leggenda, ma io credo nella sua esistenza e sarei lieto se tu me lo mostrassi>>.
Un’espressione di vaga sorpresa si dipinse sul volto di Ledolar che, seppur colto alla sprovvista, sorrise e rispose con voce calma: <<Ma certo amico. Sono disposto a mostrarti il famoso libro, ma non vorrei deluderti avvertendoti che il contenuto del manoscritto è illeggibile sia per me che, probabilmente, per tutti gli esseri viventi della nostra terra>>.
A quelle parole il nano iniziò a fremere come il terreno calpestato da un cavallo al galoppo. Con estrema calma l’elfo si alzò e si diresse verso Ersul e armeggio per alcuni minuti con la sella. Infine tornò al fuoco recando in mano un grosso tomo che era costretto a tenere con due mani. <<Ecco, questo è il leggendario libro...>>
Uknak trattenne il respiro
L’altro proseguì: <<Il libro di Agmur . Vedo dai tuoi occhi, nanico amico, che la tua anima è pura da qualsiasi bramosia, perciò te lo lascerò sfogliare>>.
Uknak prese in consegna lo scritto leggendario e ne iniziò a sfogliare le pagine. Quest’ultime erano gialle come possono essere solo fogli antichissimi, ma la loro consistenza era uguale a quella di un foglio appena fabbricato. Su di esse erano impressi dei simboli arcani il cui significato era andato perso nei secoli.
Il nano passò una decina di minuti a sfogliare il libro, poi lo riconsegnò a Ledolar con un velo di preoccupazione sul volto. <<C’è qualcosa che non va Uknak? Ti vedo molto preoccupato amico>> chiese premurosamente Ledolar. Il nano fece come per ingoiare un grosso boccone e poi esordì con voce smorzata: <<Credo di conoscere una persona che potrebbe decifrare quel codice...>>
Le sopracciglia dell’elfo si inarcarono per la sorpresa e fece cenno di continuare.
<<È una mia vecchia conoscenza ed è proprio per questo che sono preoccupato...>>. Il nano s’interruppe e guardò negli occhi Ledolar; vedendo che dal volto dell’elfo non traspariva aria preoccupata, continuò con voce grave: << Sto parlando di Oghdor, “Il gigante saggio”. È la creatura più vecchia, grande e saggia di tutta la contea!>>. A quelle parole Ledolar ebbe un sussulto di gioia e esclamò: <<Non sai quanto sia fonte di felicità questa notizia per me! Grazie amico nano, grazie a te potrò finalmente compiere l’arduo compito assegnatomi dagli elfi di Gallerdan! Ora ti prego, dimmi come posso trovare questo Oghdor?>>.
Il nano sospirò e disse: <<”Il gigante saggio” non va cercato: è lui che viene da te. Però, ci sarebbe un modo per attirare la sua attenzione, ma prima dobbiamo recarci alla spiaggia di Cerlater, sul Mar Interno. Dobbiamo passare per Strocher: la terra dei troll e tutti sanno che quanto bene i troll accolgano gli stranieri al giorno d’oggi>>.
A quelle parole Ledolar s’irrigidì un poco, ma poi, con voce gentile, sospirò e aggiunse: <<Se la strada da percorrere è così lunga e impervia, prima ci serve un buon riposo; perciò, corichiamoci amico, forse il sonno ci porterà consiglio>>.
a presto il prossimo capitolo