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Redfox

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MessaggioTitolo: un mio lavoro   un mio lavoro EmptyLun Ago 16 2010, 18:33

Allora... questa storia nasce dalla partecipazione ad un concorso indotto dalla mia scuola a cui ho partecipato. Visto che comunque è un racconto ho deciso di condividerlo con voi Very Happy

Capitolo 1

Il cavallo era ormai allo stremo delle forze. Stava schiumando già da ore, ma il suo cavaliere non sembrava voler rallentare il passo. Lo strato di foglie secche che coprivano il terreno veniva sollevato ad ogni passo della cavalcatura creando un vortice attorno ad essa. Gli alberi ai lati del sentiero correvano via veloci.
D’improvviso, sbucarono tre sagome scure che cavalcavano altrettanti cavalli bardati di nero. Le loro intenzioni erano chiare: subito una freccia sibilò vicino all’orecchio del cavallo. Senza avvertenze, il fuggitivo spronò ancora l’animale che, seppur esausto, aumentò il passo. Nel frattempo, il fantino si era girato verso i suoi inseguitori.
Il suo corpo era alto e snello, indossava una lunga tunica verde trattenuta da una cintura marrone con fibbia d’argento a forma di foglia. I suoi lineamenti erano dolci e gentili, seppur in quel momento erano contratti in una smorfia. Era concentrato. Le sue esili dita si serrarono attorno all’arco e vi incoccò una freccia. Con gran maestria prese la mira e scoccò la freccia che si andò a conficcare in mezzo agli occhi dell’inseguitore centrale. Il corpo si afflosciò sul dorso della nera cavalcatura, poi venne sbalzato di sella e calpestato dai destrieri degli altri due uomini frementi di rabbia. Senza tanti preamboli un’altra freccia partì sibilando dall’arco e si andò a conficcare facilmente nell’occhio destro dell’inseguitore di sinistra. Cadde a terra senza tante cerimonie. L’ultimo uomo rimasto al seguito dell’arciere emise un verso rabbioso ed estrasse la spada. La lama brillò e l’uomo spronò il cavallo. In poco tempo guadagnò terreno e si affiancò alla preda che, nel frattempo, aveva estratto la propria arma. Fu l’uomo a sferrare la prima stoccata che fu deviata facilmente dall’arciere che, a sua volta, provò con un fendente. L’uomo si difese riportando velocemente la propria spada davanti a quella dell’avversario. Le lame cozzarono e il duello riprese più accanito di prima. Fendenti, stoccate, dritti e rovesci continuarono per un paio di minuti, alla fine fu l’arciere ad avere la meglio con un colpo orizzontale che mozzò la testa all’avversario. Il fiotto di sangue che seguì andò a imbrattare i biondi capelli del vincitore che imprecò a bassa voce. Cercò di pulirsi passando una mano sul capo e poi rallentò il passo fino a fermarsi.
Scese dal cavallo e si addentrò nel bosco tenendo le briglie dell’animale per mano. Camminò per una ventina di passi, poi si fermò in una piccola radura, legò il cavallo a una vecchia quercia e si girò di spalle. L’animale nitrì contrariato e il padrone si avvicinò al suo orecchio mormorando <<Sei stato bravo Ersul. Senza di te mi avrebbero catturato. Ora vado a cercare dell’acqua>> .
Il cavallo si calmò all’istante e sbuffò scarmigliando i capelli dell’elfo. Quest’ultimo ringraziò con un sorriso e si addentrò ancora tra gli alberi.
I passi leggeri della creatura avanzavano soavi sullo spesso fogliame ormai secco da giorni. La figura sembrava scivolare tra gli alberi mentre si avvicinava al ruscello che scorreva lì vicino. Giunto sulla riva s’inginocchiò sul fiumiciattolo e vi immerse le mani per poi passarsele su tutto il viso; il blu intenso degli occhi sembrò rinvigorito dall’acqua e tutti i segni della faticosa battaglia sparirono dal volto perfetto dell’essere. Ripeté l’operazione diverse volto finché non tirò fuori dalla tunica una borraccia e la immerse nell’acqua.
Quando ebbe finito, la creatura si alzò. Proprio nel medesimo istante, poco più in là un fruscio prese forma. Allarmato, l’essere estrasse la spada e disse con voce ferma e potente: << Chi è là? Siete forse un codardo che vi dovete nascondere dalla mia vista?>>
Alcuni secondi di silenzio, poi una voce dura e roca, facilmente attribuibile alla roccia stessa, si levò da una posizione indefinita aldilà del ruscello:
<< Conviene conoscere prima di giudicare, elfico amico. Mi duole che una nobile razza come la tua sia così veloce a impugnar l’elsa.>>
La voce si interruppe un attimo per poi riprendere: <<Ma veniamo al dunque mio amico. Io sono un nano del nord, precisamente della terra di Kakozan. Il mio nome è Uknak e sarò lieto di uscire allo scoperto se abbasserai la lama>>.
Dopo aver ascoltato attentamente le parole del nano, l’elfo depose la sua arma dicendo: << Sento che le tue parole sono sincere, Uknak. Mi fiderò di te facendo come mi ordini>>.
Alcuni secondi passarono dalla deposizione della spada. Infine, dalla fitta boscaglia, emerse una robusta figura alta al massimo un metro e venti, ma con una costituzione assai robusta. La folta barba bruna copriva il corpo fin all’altezza del torace, una fluente chioma castana ricadeva rozzamente sulle spalle del nano. Gli occhi, che in mezzo a quella peluria assomigliavano a bottoni di una camicia, erano di un verde intenso e il naso si presentava come una protuberanza tozza e grossa in mezzo al volto. Sul capo era posto un massiccio elmo di ferro con numerose borchie disposto sulla sua superficie, che proteggeva anche la nuca. Il piccolo corpo era protetto da una lucente cotta di maglia grigia tenuta da una cinta di cuoio alla quale era appesa una potente ascia bipenne sulla cui lama era incisa un’unica runa d’oro. Giunto al cospetto dell’elfo, quest’ultimo parlò con voce gentile: << Spero che la dura accoglienza non ti abbia turbato, amico. Ora permettimi di farmi perdonare secondo le usanze del mio popolo, offrendoti un pasto e una boccata di Erujan. Ormai la luna sta per iniziare il suo cammino in cielo e non è saggio rimanere nella foresta>>.
Il nano accettò l’invito e la coppia tornò alla radura quando ormai il sole stava scomparendo dietro le creste dei Monti Impervi a Ovest.
Giunti al cavallo, il nano ammucchiò della legna al centro dello spiazzo e, tramite un acciarino e un’esca appiccò un piccolo fuoco. L’elfo, nel frattempo, aveva preso dallo zaino appeso alle briglie del cavallo, un involucro protetto da foglie e una sacchetta di cuoio accompagnata da una pipa di legno. Seduti entrambi vicino al fuoco, l’elfo offrì a Uknak il contenuto dell’involucro: un grosso pezzo di galletta che l’ospite accettò di buon grado.
I due stettero per un po’ a consumare ognuno la propria razione poi, una volta finito, l’elfo prese la parola: <<Ora che il nostro stomaco è sazio, permettimi di presentarmi. Io sono Ledolar, elfo della terra di Gallerdan giù a Sud. Certamente il mio nome ti è noto a causa dell’incidente avuto con gli uomini, verificatosi alcune settimane fa...>>
L’elfo non terminò la frase, perché Uknak tossì sonoramente a causa di un boccone andatogli di traverso. Dopo aver inghiottito il pezzo di galletta, il nano iniziò a parlare: << Esattamente amico mio. La tua sortita ad Hawkletown ti ha reso famoso in tutta la contea. Permettimi di farti i complimenti per questa tua azione, che ha seriamente messo in allarme quei maledetti uomini. Inoltre vorrei informarti che sono qui a causa della reliquia che si dice tu abbia rubato alla città. Molti pensano che il “libro di Agmur” sia solo una leggenda, ma io credo nella sua esistenza e sarei lieto se tu me lo mostrassi>>.
Un’espressione di vaga sorpresa si dipinse sul volto di Ledolar che, seppur colto alla sprovvista, sorrise e rispose con voce calma: <<Ma certo amico. Sono disposto a mostrarti il famoso libro, ma non vorrei deluderti avvertendoti che il contenuto del manoscritto è illeggibile sia per me che, probabilmente, per tutti gli esseri viventi della nostra terra>>.
A quelle parole il nano iniziò a fremere come il terreno calpestato da un cavallo al galoppo. Con estrema calma l’elfo si alzò e si diresse verso Ersul e armeggio per alcuni minuti con la sella. Infine tornò al fuoco recando in mano un grosso tomo che era costretto a tenere con due mani. <<Ecco, questo è il leggendario libro...>>
Uknak trattenne il respiro
L’altro proseguì: <<Il libro di Agmur . Vedo dai tuoi occhi, nanico amico, che la tua anima è pura da qualsiasi bramosia, perciò te lo lascerò sfogliare>>.
Uknak prese in consegna lo scritto leggendario e ne iniziò a sfogliare le pagine. Quest’ultime erano gialle come possono essere solo fogli antichissimi, ma la loro consistenza era uguale a quella di un foglio appena fabbricato. Su di esse erano impressi dei simboli arcani il cui significato era andato perso nei secoli.
Il nano passò una decina di minuti a sfogliare il libro, poi lo riconsegnò a Ledolar con un velo di preoccupazione sul volto. <<C’è qualcosa che non va Uknak? Ti vedo molto preoccupato amico>> chiese premurosamente Ledolar. Il nano fece come per ingoiare un grosso boccone e poi esordì con voce smorzata: <<Credo di conoscere una persona che potrebbe decifrare quel codice...>>
Le sopracciglia dell’elfo si inarcarono per la sorpresa e fece cenno di continuare.
<<È una mia vecchia conoscenza ed è proprio per questo che sono preoccupato...>>. Il nano s’interruppe e guardò negli occhi Ledolar; vedendo che dal volto dell’elfo non traspariva aria preoccupata, continuò con voce grave: << Sto parlando di Oghdor, “Il gigante saggio”. È la creatura più vecchia, grande e saggia di tutta la contea!>>. A quelle parole Ledolar ebbe un sussulto di gioia e esclamò: <<Non sai quanto sia fonte di felicità questa notizia per me! Grazie amico nano, grazie a te potrò finalmente compiere l’arduo compito assegnatomi dagli elfi di Gallerdan! Ora ti prego, dimmi come posso trovare questo Oghdor?>>.
Il nano sospirò e disse: <<”Il gigante saggio” non va cercato: è lui che viene da te. Però, ci sarebbe un modo per attirare la sua attenzione, ma prima dobbiamo recarci alla spiaggia di Cerlater, sul Mar Interno. Dobbiamo passare per Strocher: la terra dei troll e tutti sanno che quanto bene i troll accolgano gli stranieri al giorno d’oggi>>.
A quelle parole Ledolar s’irrigidì un poco, ma poi, con voce gentile, sospirò e aggiunse: <<Se la strada da percorrere è così lunga e impervia, prima ci serve un buon riposo; perciò, corichiamoci amico, forse il sonno ci porterà consiglio>>.



a presto il prossimo capitolo Smile
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MessaggioTitolo: Re: un mio lavoro   un mio lavoro EmptyLun Ago 16 2010, 19:52

Molto bello, ma immagino che non ci sia bisogno di dirti che è molto simile al Signore Degli Anelli, dal quale credo hai preso spunto.

Comunque la storia, almeno per adesso, non è niente male un mio lavoro Icon_biggrin
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MessaggioTitolo: Re: un mio lavoro   un mio lavoro EmptyLun Ago 16 2010, 20:07

più che preso spunto, diciamo che il fantasy è il Signore degli Anelli Rolling Eyes
Comunque ora devo trovare il capitolo 2 nei meandri del computer xD
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MessaggioTitolo: Re: un mio lavoro   un mio lavoro EmptyMar Ago 17 2010, 14:11

visto che starò assente una settimana, e visto che ho ritrovato il 2° capitolo ve lo posto Very Happy


Capitolo 2

Il sole era appena apparso a oriente quando Ledolar e Uknak si misero in viaggio per la spiaggia di Cerlater. Dopo esser tornati sul sentiero principale, aveva continuato verso Sud fino a uscire dalla foresta di Peaklef.
Poi avevano intrapreso il sentiero che costeggiava la prateria di Holad che, nell’antichità, era stata una prateria verde e rigogliosa ma che, dopo l’arrivo e la colonizzazione umana, era diventa arida e brulla al punto di essere abbandonate da qualsiasi forma di vita e essere soprannominate “la prateria morta”.
<<Dannati umani!>> esclamò a denti stretti Uknak vedendo la desolazione davanti a sè <<non sanno fare altro che distruggere la nostra terra sfruttando senza ritegno le sue risorse…>>
<<E’ inutile piangere sul quello che è già successo amico mio. Ormai, anche scacciarli sarebbe inutile: la terra è ormai compromessa e nulla la potrà far tornare come viene descritta nei canti antichi…>> rispose con voce spezzata Ledoran
<<Purtroppo le tue parole corrispondono alla verità elfo, ma lascia a questo vecchio nano la possibilità di maledire quegli immondi esseri! Maledetto si il giorno in cui questi figli del Male misero piede in Deren-Hantichia contaminando irreversibilmente l’equilibrio in cui questa terra era immersa da millenni!>> concluse furente Uknak volgendo poi lo sguardo a occidente dove la prateria di Holad lasciava spazio ai Monti Silenti, le cui cime erano rese invisibili da grossi banchi di nebbia.
Si narra che essi erano, in un tempo assai lontano, la terra dei draghi e che, nelle loro profondità, erano nascosti inestimabili tesori custoditi dagli ultimi draghi superstiti in una delle tante caverne che buchelerravano i versanti dei rilievi montuosi.
Giunti alle pendici delle immense montagne, il sole terminò la sua corsa nel cielo e i due decisero di accamparsi in una caverna seminascosta da un cespuglio ormai secco. L’ingresso assomigliava alla bocca di un orco per la sua larghezza e oscurità, ma stranamente l’aria che impregnava la cavità era di diversi gradi più calda da quella esterna e il calore sembrava provenire dall’impenetrabile oscurità che avvolgeva il fondo della caverna.
<< Tutto questo caldo mi sembra sospetto Ledoral! Non vorrei che, durante la notte, venissimo accolti da un bruciante benvenuto…>> commentò sarcasticamente Uknak per poi sfociare in una nervosa risata.
<< Stai tranquillo Uknak: i draghi rimasti sono pochissimi e sicuramente si nasconderebbero in grotte meno visibili di questa…>> replicò in modo pratico Ledoral mentre prendeva il bivacco per la notte dal cavallo.
<<Avrai pur ragione elfo, ma resta il fatto che non mi sento al sicuro..>> disse Ukank, guardandosi attorno con aria guardinga.
<<Va bene, allora faremo turni di guardia se questo ti aiuterà a dormire!>> sospirò Ledoral <<Il primo turno lo faccio io. Ora vai a riposare: tra tre ore ti vengo a svegliare>>.
Quelle parole posero fine alla questione. Ukanak preparò il proprio giaciglio e lì si addormentò profondamente.
L’oscurità in quella grotta era così spessa che probabilmente si sarebbe potuta tagliare con un grissino. Ledolar se ne stava accanto al piccolo fuoco che aveva acceso poco dopo che il nano si era addormentato, ora stava fissando il buio che impregnava il fondo della caverna. Più volte gli era sembrato che laggiù ci fosse qualcuno , se non fosse stato per la sua forte volontà elfica, sarebbe stato trascinato dalla curiosità. Però il sonno si faceva ormai sentire e quella strana sensazione si faceva man mano più forte tanto che gli risultava sempre più difficile resistergli.
Alla fine cedette all’istinto e si alzò portando con se la spada e l’arco. Teneva gli occhi più aperti possibili e le orecchie erano pronte a captare anche il più flebile suono. Man mano che Ledoral si addentrava nella grotta, una musica arcaica si faceva sempre più forte. Il suo ritmo era lento e cadenzato come quello dei canti antichi. Ascoltarlo voleva dire finire in trance e essere assoggettati al suo potere. Nonostante la sua natura elfica, Ledoral non poté resistere al potere ipnotico di quella melodia e da essa si fece trascinare nei meandri del buio.
A metà tra la coscienza e l’incoscienza, l’elfo scese per dei gradini mimetizzati tra la roccia e si ritrovò in un grande corridoio illuminato in alto da un bagliore rosso intenso proveniente da magie che neanche il più vecchio di tutta Deren-Hantichia avrebbe potuto conoscere.
Sotto l’effetto della musica, Ledoral percorse quel corridoio e si ritrovò in un’immensa camera sotterranea.
Era così grande che l’altra estremità non si riusciva a vedere e le colonne che reggevano il soffitto si perdevano in una coltre di fiume biancastro.
Il pavimento era ricoperto da un mare di ori e gioielli; il luccichio era tanto intenso che l’elfo fu costretto a coprirsi gli occhi con l’avambraccio per non essere accecato.
Quando la vista dell’elfo si fu adeguata a quell’intenso riflesso, Ledoral potè finalmente ammirare lo splendore di quella stanza.
I suoi occhi divagarono in quel mare di ricchezza e stava già per entrare in quella ricca vasca quando una voce antica come il mondo irruppe il silenzio della stanza:
<<Fermo lì straniero! Nessuno ha il permesso di toccare il mio tesoro senza la mia autorizzazione!>>
Ledoral venne colto di sorpresa da quella voce e aguzzò la vista mentre diceva:
<<Chi è che parla?>>
<<Io sono Ashkor: l’ultimo drago rosso rimasto su questa terra.>> rispose la voce.
Da quella che sembrava una montagna di rubini, un’immensa figura si alzò.
La pelle era ricoperta da rosse scaglie lucenti che davano al drago un’aura scarlatta. La lunga coda era sormontata da grossi aculei grigiastri. Le ali che si dipanavano dal dorso dell’animale raggiungevano facilmente i due metri di ampiezza e le due estremità terminavano con due grossi artigli. Le zampe anteriori avevano un diametro di circa un metro ed erano fornite di affilatissimi artigli come le zampe anteriori. Il muso del drago era molto lungo e i canini uscivano dalla bocca protendendosi verso l basso. Le narici emettevano continuamente del fumo bianco che si andava a depositare in alto. Gli occhi erano enormi e profondi, Il rosso delle iridi era molto intenso e non si riusciva a fissarlo più di pochi secondi.
Al cospetto di quell’animale mitologico, Ledoral s’inginocchiò e disse:
<<Perdonami saggio Ashkor, io non avevo intenzione di profanare il tuo oro. Se le parole sincere di un elfo non ti bastano, lasci che ti dia una prova concreta..>> l’elfo prese i soldi dalla sacca che teneva in vita e li versò in quel mare di ricchezze.
Il drago lo fissò attentamente per qualche minuto, poi disse:
<<Il tuo gesto è sincero elfo. Sono secoli che non incontro persone così pure d’animo. Per questo ho deciso di concederti un prezioso regalo: una mia cortesia! Chiedimi quello che vuoi.>>
Dopo aver terminato la frase, il drago si sedette sul cumolo di rubini ed aspetto la risposta dell’elfo che arrivò subito:
<<Il favore che ti chiedo è quello di portare me e il mio compagno di viaggio alla spiaggia di Cerlater.>> appena finì di parlare, abbassò il capo in segno di rispetto
Ashkor squadrò Ledoral per altri lunghissimi minuti per poi replicare:
<<Benissimo, il tuo desiderio è stato espresso. Ora vai a svegliare il tuo amico, poi partiremo>>.
A quelle parole Ledoral corse via per tornare poco dopo con Uknak.
Il nano quasi svenne alla vista del drago:
<<Che scherzi mi fai Ledoral? Mi addormento sicuro che tu non mi avresti procurato guai e mi risveglio al cospetto di un drago?>>
<<Le tue parole sono sempre troppo schiette Uknak. Ora salì sulla groppa di Ashkor e lascia che ci guidi fino a Cerlater!>> disse gentilmente Ledoral
Il nano ubbidì e, poco dopo, i due si ritrovarono all’esterno in mezzo al cielo notturno.
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