Si sedette ai piedi di un albero, la gola secca. Si arrese alla stanchezza: sentiva la corteccia umida della pianta dietro la testa, il muschio nei capelli. Il respiro gli si condensava davanti agli occhi, gli appannava gli occhiali. Li tolse per pulirli su quel che rimaneva della camicia, ormai ridotta a brandelli. Persino alzare il braccio aveva richiesto più energie di quel che gli rimanevano in corpo.
Chiuse gli occhi e ripensò a quello da cui era scappato, quello che ancora teneva in trappola Cinereus. Non gli era stato possibile trarlo in salvo, aveva avuto un’unica occasione e per la prima volta in vita sua, aveva deciso di afferrare al volo la possibilità di salvarsi. I sensi di colpa ormai non gli davano piùi crampi allo stomaco, non lo assalivano più come un dolore fisico, ma si accantonavano lì, in un angolo, in un posto molto vicino al vuoto lasciato da tutte le persone care perse in quegli anni. Ogni sensazione, emozione, gli scivolava addosso, come se non riuscisse a penetrare la sua pelle. Cosa che invece erano riuscite a fare le innumerevoli spine che gli si erano conficcate nelle mani. Infilò una mano in tasca in cerca anche di un sudicio fazzoletto, ma l’unica cosa che sentì sotto le dita gonfie fu del metallo. Il falso galeone. Rise davanti all’ironia della sorte. Rinfilò gli occhiali e si guardò intorno: alberi, arbusti, foglie, buio, ombre, umido e fango. Nulla di nuovo. Aveva provato innumerevoli volte a smaterializzarsi da quel luogo, ma niente. Quell’uomo sapeva il fatto suo: ci avrebbe pensato la foresta a farlo fuori.
Come avrebbe potuto aiutarlo quella moneta lì, in mezzo al nulla? La strinse tra le mani con rabbia, ma subito se ne pentì: ogni movimento brusco gli procurava spasmi di dolore. Si tastò il i fianchi e verificò che le costole non erano in ottime condizioni. Cercò di regolarizzare il respiro, così da farsi meno male.
Un fruscio. Harry saltò su, in preda al panico. Gli sembrava quasi di udire l’urlo di dolore dei suoi muscoli, ma la paura lo aiutava ad ignorarlo. Puntò la bacchetta in direzione di un cespuglio, all’erta.
«Vieni fuori!» urlò, forse solo per incoraggiare se stesso.
«Kreacher l’ha trovato! E’ qui!»
«Kreacher?» ripetè incredulo Harry, tenendo comunque alta la bacchetta.
«
E’ qui!» imitò stizzita una voce familiare alle orecchie di Harry. «Qui dove, stupido elfo?»
«Ron» cercò di urlare Harry «RON!»
«HARRY! Sto arrivando!» Il ragazzo arrivò correndo, saltò un ramo e quasi inciampò in un buco del terreno, ma si tenne in piedi appoggiandosi all’elfo, che gracchiò un soffocato e velenoso “Grazie”, allontanando le mani del ragazzo.
«Ma porco di quello Snaso, Harry!» imprecò Ron vedendolo, Kreacher al suo fianco. «Dove ti eri cacciato? Ti cerco da giorni!»
«Avevo bisogno di ferie, Ron» provò a dire ironico, ma non riuscì a rendere giustizia alla battuta «Ti donano i capelli verdi» scherzò indicando i capelli pieni di foglie secche del ragazzo. Le forze lo abbandonarono, ma Ron lo tenne.
«Vieni su, mi dirai dopo cos’è successo, per ora hai bisogno di un letto» disse il ragazzo issando Harry e offrendogli la spalla come supporto «e di un bagno» aggiunse tappandosi il naso.
*
«Più di questo non so fare Harry» disse Ron dispiaciuto, guardando le bende che coprivano disparate parti del corpo di Harry. Per quanto avesse potuto curare le ferite più superficiali con la magia, su quelle più gravi i suoi incantesimi non avevano sortito alcun effetto. Perciò si era arrangiato alla bell’e meglio.
«Si può sapere cos’è successo? Sono tre giorni che invento scuse per tenere a bada Kingsley. Te l’avevo detto che non era una buona idea non dirgli nulla»
«Sono stato via tre giorni?» chiese Harry sbalordito alzando la testa dal cuscino. La stanza prese a girare, quindi pensò fosse meglio stendersi. La spoglia stanza in cui avevano dormito lui e Ron qualche anno prima gli si presentò davanti agli occhi.