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 Capitolo 16 - Defactio Insinuere

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hermioneRon4ever

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MessaggioTitolo: Capitolo 16 - Defactio Insinuere   Capitolo 16 - Defactio Insinuere EmptyMar Nov 30 2010, 15:22

*Il senso di questo

Il patronus della signora Weasley svanì in uno svolazzo di fumo argenteo, lasciando Harry e Ron senza parole. Proprio in quel momento Hermione varcò il buco del ritratto e subito i due ragazzi le si avvicinarono allarmati.
«La m-mamma... l'or-rologio... Gi-ginny... Ginny è in pericolo!» cercò di spiegare Ron, malamente.
«Lascia stare, Ron» intervenne Harry alzando una mano per interromperlo. «Hermione, dov'è Ginny?».
La ragazza sbuffò spazientita «Harry, ho promesso di mantenere il segreto!». Poi li guardò in faccia e sembrò capire che c'era qualcosa che non andava. «Ragazzi... Cosa succede?».
«La mamma ci ha appena mandato un Patronus... dice che la l-lancetta di Ginny, quella dell'orologio d-del nonno, è su pericolo mortale... dov'è? Che sta facendo?».
«Ma che storia è questa? Quello che sta facendo è una cosa assolutamente sicura ...».
Harry non riusciva a stare fermo, l'ansia lo attanagliava, avrebbe voluto strappare le parole di bocca all'amica.
La ragazza perse un po' della sua sicurezza, scosse la testa. «Ginny mi ucciderà ...» disse prendendo un lungo respiro e chiudendo gli occhi. «Ma, in effetti, se tua madre ti ha mandato quel messaggio, forse dobbiamo davvero preoccuparci ...». Guardò in direzione dei due ragazzi che, visibilmente nel panico, aspettavano con impazienza la sua risposta. «Ginny ha deciso di dare l'esame che avrebbe dovuto sostenere l'anno scorso».
«Esame? Quale esame?» esclamò Ron.
«Ron, l'esame che ha annunciato la McGranitt il primo giorno di scuola» sibilò Hermione.
«Cosa?» chiese Harry spiazzato. «E perché?».
«Come perchè? Così quest'anno frequenterete le lezioni insieme e l'anno prossimo non dovrete dividervi nuovamente! L'esame sarà composto da prove al suo livello e, per di più, si svolgerà in presenza degli insegnanti, quindi non dovrebbe esserci alcun pericolo».
«Ma quando si dovrebbe tenere questo esame?» chiese Ron.
«Si sta svolgendo proprio in questo momento».
«Ora?» scattò Harry.
«Sì, è uscita mezz'ora fa ...» rispose Hermione, ma Harry non l'ascoltava più; la sua mente era invasa da un senso di orgoglio misto a preoccupazione. «Ragazzi, non so più cosa pensare ...» continuò la ragazza.
Il messaggio della signora Weasley lo faceva stare sulle spine.
«Dove si tiene l'esame? Te l'ha detto?» la interruppe agitato.
«Aveva appuntamento con la McGranitt fuori dal portone»
Harry strinse i pugni guardando il cielo fuori da una finestra in fondo alla Sala: aveva preso la sua decisione.
«Devo andare!», tagliò corto il ragazzo, lanciandosi verso le scale del dormitorio.
«Ma Harry! Non puoi andare lì!» gli gridò dietro la ragazza; ma lui, ignorandola, spalancò con violenza la porta e si precipitò verso il suo letto.
Doveva controllare che Ginny stesse bene, ma l'idea di essere scoperto e di rovinarle l'esame non era una bella prospettiva. Aveva solo un modo per riuscire nel suo intento.
Aprì il baule e cominciò a rovistarci dentro freneticamente, finchè non avvertì fra le dita il familiare tessuto setoso; appallottolò il Mantello nella tasca e sfrecciò via veloce.
Quando giunse al portone di quercia lo tirò fuori e, prima di varcare la soglia, se lo gettò sulle spalle.
Non riusciva proprio a tranquillizzarsi, nonostante le rassicurazioni di Hermione: le sue erano solo preoccupazioni inutili come diceva lei, o tutto aveva una logica che gli altri non riuscivano a cogliere? Anche se era in ansia, una piccola parte di lui era felice, aveva finalmente scoperto il perché del comportamento di Ginny e ne era sollevato: lui non c'entrava nulla.
Immerso in questi pensieri, non si accorse di aver raggiunto la capanna di Hagrid. Poco lontano, proprio al limitare della foresta, la professoressa McGranitt e il professor Vitious stavano parlottando tra loro.
Raggiunse a grandi passi il punto in cui si trovavano e sentì la tensione crescere quando si accorse che i due insegnanti avevano un'aria preoccupata.
«Minerva, ci sta mettendo troppo tempo, avrebbe dovuto essere già di ritorno; non pensi che dovremmo andare a cercarla? Ieri la signorina Lovegood è stata più veloce, e considera che è molto meno preparata della signorina Weasley».
«Non ha ancora chiesto aiuto, ma forse è meglio andare a controllare» replicò la Preside guardandosi intorno con aria ansiosa.
Harry si chiese fugacemente quanti dei suoi compagni stessero tentando di dare quest'esame. Tuttavia non ascoltò oltre e corse all'interno della foresta; addentrandosi nella fitta boscaglia, tese i sensi al massimo per individuare qualche segno della presenza della sua ragazza.
Scrutando nella penombra che perennemente invadeva la foresta, finalmente la trovò: Ginny era poco distante e avanzava verso di lui con una camminata lenta e rilassata; la prova doveva essere finita e stava tornando dai professori.
Rallentò l'andatura, Ginny stava bene. Era così sollevato nel vederla che fu fortemente tentato di togliersi il Mantello e raggiungerla.
Improvvisamente uno strano sibilo squarciò il silenzio facendoli sobbalzare. Harry si voltò in direzione del suono ma non riuscì a scorgere nulla; serrò la presa sulla bacchetta e anche Ginny alzò la propria, pronta a colpire.
Una figura rossastra, dall'aspetto viscido e deforme, apparve da dietro un grosso abete, muovendosi velocemente in direzione dei due ragazzi. Con orrore, Harry capì di cosa si trattava: il nuovo animaletto domestico di Hagrid marciava a piede libero nella Foresta; prima che Harry potesse in qualche modo intervenire, la bestia sembrò misteriosamente attratta dalla ragazza e le si avventò contro.
Lei riuscì a sfuggirgli con un movimento fulmineo, ma inciampò in una radice che sporgeva dal terreno ed il demone le fu addosso. Ginny cercò di urlare e la bacchetta le sfuggì di mano.
«Ginny!» Harry imprecò osservando con orrore la scena.
Scattò in avanti facendosi furiosamente spazio tra i cespugli spinosi. Il mantello rimase più volte impigliato rischiando di tradirlo, ma, incurante di questo, riuscì ad avvicinarsi al demone.
«Relascio» mormorò.
La creatura grugnì mentre veniva sbalzata indietro dalla forza dell’incantesimo finendo in un cespuglio di rovi.
Ginny si rialzò indietreggiando spaventata e si guardò attorno con aria circospetta. Si abbassò per recuperare la bacchetta senza distogliere lo sguardo dal demone che, con un movimento repentino, si rialzò e riprese il suo attacco. Harry era pronto ad intervenire di nuovo, ma la ragazza fu più veloce, alzò la bacchetta e gridò: «Stupeficium!». L'incantesimo sembrò colpire la creatura in piena faccia, ma in realtà non gli fece alcun danno; il demone, con uno scatto, si raddrizzò e continuò ad avanzare.
«Che cosa ...» mormorò Ginny «Incarceramus!».
Spesse funi apparvero dal nulla e iniziarono ad avvolgere le gambe della creatura. Quella si dimenò scalciando per cercare di liberarsi ma l'incantesimo inesorabile continuò a risalire il suo corpo. Ormai le funi avevano immobilizzato ogni parte del demone: era neutralizzato! Harry tirò un sospiro di sollievo: Ginny ce l'aveva fatta.
Un urlo raccapricciante provenne dalla bestia ormai inoffensiva, ma non era un urlo di dolore. Le fibre della fune iniziarono a sfilacciarsi ed a rompersi una dopo l'altra, finché non sparirono del tutto.
«No!» esclamò stupefatta.
Harry, puntando la bacchetta, lanciò un incantesimo di protezione su Ginny proprio nel momento in cui il demone, con un velocissimo movimento, si slanciava su di lei.
La creatura si bloccò a pochi centimetri, come paralizzata, ma rimase ferma solo per qualche secondo e scattò nuovamente in avanti.
Non sapevano più cosa fare: nessun incantesimo a loro noto sembrava funzionare.
In quell'attimo di tregua lo sguardo di Ginny si fece più determinato, come se avesse avuto un'improvvisa illuminazione; la ragazza puntò velocemente la bacchetta contro di lui e gridò: «Argentea Vincula!».
Robuste catene d’argento scaturirono dalla bacchetta per avvolgere il demone in una possente stretta. La creatura urlò, come impazzita, dimenandosi senza controllo, mentre Ginny la guardava con occhi sgranati; poi, con un ultimo lungo spasmo, svanì, come smaterializzata, tra le catene, che caddero a terra con un sonoro CLANG.
Inspirando profondamente e ancora turbato dalla scena a cui aveva assistito, Harry fissò la ragazza: era visibilmente scossa e stava immobile con lo sguardo fisso sul punto in cui fino ad un attimo prima si trovava il demone.
Non riusciva a capacitarsi della lucidità di Ginny in un momento simile. Era stata una fortuna che avessero parlato del demone la sera prima, a cena. Senza volerlo lui e Ron l'avevano messa a conoscenza dell'unica arma in grado di eliminare Sigfrido!
Fu costretto a riscuotersi, perché la ragazza stava cominciando a muoversi e lui non ci teneva a farsi scoprire. Camminò piano, cercando di mettere spazio tra se e Ginny ed evitando di fare il minimo rumore. Ma mentre retrocedeva verso un punto in cui i cespugli si facevano meno radi, calpestò accidentalmente un ramo che si spezzò di colpo. Harry rimase immobile, trattenendo il respiro; Ginny cominciò a muoversi cauta tra gli alberi, facendosi strada tra i fitti cespugli.
Harry si appiattì ancora di più al tronco dell’albero a cui si era appoggiato e si strinse nel mantello.
Ad un tratto il frusciare di foglie secche calpestate fece notare loro che non erano soli nella foresta: qualcuno avanzava nella loro direzione; Harry distinse a fatica le voci della McGranitt e di Vitious.
«Accidenti! Non ricordavo fosse così selvaggia» stava dicendo il piccolo professore tra un goffo tentativo e l'altro di districarsi da un rovo particolarmente lungo che lo tratteneva per la barba; Ginny si diresse verso di loro.
Harry, divertito, si avvicinò in modo da poter osservare la scena: la preside stava tentando di liberare il minuscolo professore, tagliuzzando a colpi di bacchetta il ramo spinoso.
«Oh, eccola! Signorina Weasley!» esclamò Vitious, scrollandosi un ammasso di foglie dalla testa.
«Sta bene?» le chiese la McGranitt avvicinandosi. «Abbiamo sentito delle urla, e abbiamo pensato che fosse successo qualcosa».
«Tutto a posto. Sto bene, grazie!» rispose Ginny.
Vitious tirò un sospiro di sollievo.
«Bene» le disse la McGranitt con un cenno compiaciuto, «allora possiamo andare avanti con l'esame».
«Sì, certo professoressa» rispose lei e, con un'espressione determinata sul volto, si avviò dietro agli insegnanti.
Si diressero verso una zona della foresta che Harry non conosceva; cercò di mantenere le distanze. Di rado qualcosa riusciva a sfuggire all'occhio aquilino della McGranitt e voleva evitare di farsi scoprire e di mettere a repentaglio l'esame della sua ragazza. All’improvviso udì delle urla provenire dalla parte opposta, proprio dove si trovava la capanna di Hagrid. Si fermò di colpo e si mise in ascolto.
«No! No! E no! Come le è saltato in mente? Perché l'ha liberato?».
Non c’era alcun dubbio: Harry avrebbe riconosciuto anche lontano un miglio quella voce roca e profonda: la voce di Hagrid.
In quel momento si accorse di aver perso di vista Ginny e i professori. Quando si era distratto, li aveva lasciati vicino ad un bivio, ma ora era impossibile individuarli. La foresta era fitta e silenziosa, non c'erano tracce che suggerissero il sentiero che avevano imboccato. Così decise di dirigersi verso la casa del guardiacaccia; in fondo ora Ginny era insieme ai professori e non avrebbe dovuto correre altri pericoli.
Raggiunta la capanna riuscì ad intravedere Hagrid dalla finestra aperta: era lì, fermo, nel mezzo della stanza, non proferiva parola, ma tremava dalla rabbia. All'improvviso sferrò un pugno, forse contro il tavolo, che fece tremare tutta la capanna.
«Vada via! Se ne vada! Non so cosa ci potrei fare altrimenti!» urlò contro qualcuno che Harry non riusciva a scorgere.
«Non vedo perché scaldarsi tanto, Hagrid» era la voce di Uglick. «Insomma, sei un insegnante, hai visto quell’esame. Nozioni elementari, argomenti del terzo anno. Puah! Sarebbe stato una bazzecola se io non fossi intervenuto. Altro che esame per accedere all'anno dei M.A.G.O.! È ridicolo, i livelli di questa scuola si stanno abbassando vertiginosamente. Ne parlerò alla Preside, stanne certo. Dovresti essere contento: la tua bestiola, pace all'anima sua, ha movimentato la situazione che era di una piattezza esasperante!».
Harry si sentì raggelare a quelle parole; aveva pensato che Hagrid avesse perso il controllo sul demone e che questo fosse riuscito a liberarsi ma non avrebbe mai immaginato che fosse il frutto della mente di un professore. Certo, fin dall'inizio non si era fidato di Uglick, ma mai si sarebbe aspettato un comportamento e una malignità simili.
Hagrid scoccò al professore un'occhiata furente. «Avevi detto che non ci facevi del male, a Sigfrido! Era solo un cucciolo! Avevi detto che lo volevi osservare a scopo ditattico... cosa gli è successo?». Gli scappò un singhiozzo, e tirò su rumorosamente col naso.
«Ehm... didattico, Hagrid. Ebbene è quello che ho fatto!» rispose Uglick, seccato.
«Baggianate! Tu volevi farci del male, ci volevi, ecco! Pazzoide dei miei stivali... Te lo do io il tuo ditattico!».
Hagrid sembrava ormai una bomba innescata, sul punto di esplodere. La miccia era il suo faccione rosso, completamente in fiamme.
«Molto bene, vedo che non capisci, quindi tolgo il disturbo. Ho un esame da finire» concluse il professore alzandosi e dirigendosi verso l’uscita con passo fin troppo veloce per un vecchio qualsiasi.
Hagrid, con gli occhi appannati da lacrime di rabbia, provò ad agguantarlo per il bavero, ma, incredibilmente, il professore evitò l'enorme braccio peloso del mezzogigante. Harry sbatté le palpebre, stupito.
«Ah già, Hagrid... dovresti dare un'occhiata a quei tuoi scaffali ammuffiti, non sembrano molto stabili. Sarebbe un peccato se cadessero tutti quei barattolini puzzolenti che ci tieni appoggiati, immagino che ti servano a scopo... ehm... ditattico».
SBAM!
Hagrid gli aveva probabilmente sbattuto la porta in faccia; al rumore della porta seguì un tonfo sordo di qualcosa che cadeva, vetri che si spezzavano a terra e un urlo di rabbia.
Una nuvola di polvere uscì dalle finestre, insieme ad una montagna di imprecazioni.
Harry si affacciò alla finestra per poter vedere meglio quello che era successo: gli scaffali erano caduti addosso ad Hagrid, che aveva tentato inutilmente di ripararsi alzando un braccio. Il pavimento era cosparso di vetri e di sostanze non identificabili. Il professor Uglick, poco distante, si soffermò per un attimo udendo il rumore, poi riprese a camminare verso il castello, ingobbito più che mai.
Harry si stava chiedendo se fosse il caso di entrare per dare una mano all'amico, quando questi uscì velocemente dalla porta sul retro e, pieno di polvere com'era, puntò dritto filato all'abbeveratoio. Harry era indignato. Uglick, in pochi minuti, aveva messo in pericolo Ginny e sbeffeggiato Hagrid. Rimase qualche secondo fermo ad osservarlo mentre si muoveva svelto verso il castello.
All'improvviso gli tornò in mente la frase che il professore aveva pronunciato poco prima, e si ricordò il motivo per cui si trovava lì: accertarsi dell'incolumità della sua ragazza. Le urla di Hagrid lo avevano distratto dal suo scopo, ma, se aveva interpretato bene le parole di Uglick, Ginny doveva sostenere una prova proprio con lui.
Mantenendo l'opportuna distanza si avviò verso il castello. Alzando lo sguardo intravide di sfuggita la chioma rossiccia di Ginny oltrepassare la soglia del portone. Le prove all'esterno erano finite.
Salì in fretta i gradini di pietra che conducevano al portone di quercia, dribblando il professor Willis che stava uscendo proprio in quel momento.
«È solo un bene se continua a fare così!» sorrise tra sè il professore, calcandosi il cilindro sulla testa e avviandosi verso le serre.
Harry varcò in fretta la soglia e scorse Ron in un angolo della sala d'ingresso.
«Hai visto dov'è andata Ginny?» lo assalì, facendolo trasalire.
«Maledizione, Harry! Togliti il Mantello prima di fare queste imboscate, almeno! Mia sorella è scesa pochi minuti fa giù nei sotterranei con la McGranitt e Vitious, credo si stessero dirigendo verso l'aula di Pozioni».
«Ah, bene!», commentò Harry tirando un sospiro di sollievo; l'amico lo guardò con espressione interrogativa. «Ecco, sono successe un po' di cose quando eravamo nella Foresta» ammise Harry, in risposta al suo sguardo. «Andiamo!» Diede una pacca alla spalla di Ron e affrettò il passo verso i sotterranei; il ragazzo lo seguì, turbato per la mancanza di spiegazioni. Si appostarono vicino all'aula di Pozioni per essere lì quando sarebbe finito l'esame ed intanto Harry raccontò a Ron cosa era accaduto nella foresta e alla capanna. Quando la porta si aprì, i tre professori stavano facendo i loro complimenti alla ragazza.
«Grazie, Horace; Filius, ci vediamo dopo» disse la preside, congedando il minuscolo professore di incantesimi, poi la porta si richiuse e si sentirono dei passi allontanarsi.
Harry si rimise in fretta il Mantello e corse loro dietro per raggiungerle, lasciando Ron perplesso.
Ginny e la McGranitt stavano percorrendo il corridoio di pietra dei sotterranei; la professoressa non proferiva parola, rendendo quel tragitto ancora più snervante. Oltrepassato l’ufficio che era appartenuto a Piton, la Preside finalmente bussò ad una porta che dava l'accesso ad una stanza di cui Harry ignorava l’esistenza. Entrarono e anche lui scivolò veloce, appena in tempo per infilarsi al suo interno.
L’ufficio del professor Uglick era desolante, scarno, privo di qualsivoglia calore umano.
Quelli degli altri professori, in cui Harry era stato, riflettevano tutti il carattere dei loro occupanti; in questo caso, se lo scorbutico professore era come la sua stanza, c’era davvero da preoccuparsi. Quell’uomo continuava ad essere impenetrabile ed enigmatico nel suo atteggiamento ed inquietante nel suo aspetto, proprio come il luogo in cui lavorava.
L'arredamento della stanza consisteva in un grande tavolo adibito a scrivania posto in un angolo, sulla parete destra una libreria con solo qualche volume, due solitari quadri appesi l'uno di fronte all'altro i cui abitanti mormoravano un qualche loro discorso e al centro un grande camino freddo con un cumulo di cenere, vago ricordo di un bel fuoco scoppiettante.
Il decrepito occupante dell’ufficio deambulò lento, puntando lo sguardo sulla Preside. «Finalmente siete arrivati» disse fermandosi di colpo. «Ci sono stati problemi?» riprese accigliato.
«Nessun problema, Jatturius, solo un piccolo ritardo» rispose la McGranitt, un po’ seccata dal tono del professore.
«Un ritardo? La signorina forse non si è rivelata all'altezza delle vostre prove?» rispose lui, sarcastico, e si voltò per scrutare a fondo Ginny, con il suo classico ghigno sul volto.
Poi, improvvisamente, si staccò da loro e si diresse verso il tavolo, dove gettò sgraziatamente il mantello che ancora portava indosso, nonostante fosse tornato al castello molto prima di loro, ed Harry lo vide estrarre la bacchetta dalla veste.
La McGranitt, nel frattempo, cominciò a dare qualche spiegazione su quello che Ginny avrebbe dovuto affrontare. «Questa non è una prova di abilità, signorina Weasley, né di pragmatismo, né di combattimento, né assomiglia a niente di ciò che ha affrontato finora. Questa, infatti, è una prova di resistenza». La Preside aveva un'espressione seria, ma anche un po’ ansiosa.
«Consiste nel resistere ad un unico, potente e difficile incantesimo, il cosiddetto Incantesimo dell’Immagine».
«Non è questa la definizione esatta dell'incantesimo» la interruppe Uglick, «più correttamente si dovrebbe dire Incantesimo della Tortura».
Ginny non parve per nulla intimidita, rimase impassibile a sostenere lo sguardo del professore. La McGranitt sembrò compiaciuta per la determinazione della sua allieva.
«Molto bene, Minerva. Da quanto mi hai detto, la Signorina Weasley è molto abile, quindi penso non ci sarà nessun problema. Se la caverà, anche con un cattivone come me». Accompagnò la frase con un sorriso stiracchiato.
«Bene, la mia presenza non è più necessaria» disse poi, rivolgendosi al collega.
«Non rimani a farci compagnia?» chiese il vecchio.
«Vorrei uscirne incolume, caro Jatturius».
La McGranitt lasciò la stanza, lasciando Ginny un po’ perplessa e il professor Uglick impegnato in una sguaiata risata.
«Proseguiamo. Questo incantesimo, signorina Weasley, si insinua nella mente, come la Legilimanzia. Non ci sono controfatture o incanti che lei possa usare, solo concentrazione, e pura forza mentale. Io le farò credere di essere in tutt'altro luogo, scoverò i suoi peggiori ricordi e li sfrutterò per insinuare nella sua mente immagini distorte e situazioni, anche già vissute, che il suo cervello ha etichettato come estremamente pericolose, nonché di grande rilevanza emotiva».
Harry strinse i denti, gli sembrava impossibile che la McGranitt avesse approvato un incantesimo del genere, ma non poteva farci nulla.
«Lei si sentirà smarrita, e solo con una resistenza adeguata della sua mente e dei suoi sensi potrà scacciarmi e tornare in sé» continuò Uglick.
«Naturalmente, se io dovessi accorgermi che lei è incapace di resistermi ...» dal tono di voce sembrava quasi che ci sperasse, «io interromperò l'incantesimo». Il viso del professore si stava accendendo di esaltazione mentre impugnava più saldamente la sua bacchetta e cominciava a sollevarla.
«Una domanda» disse Ginny non facendo trasparire la minima agitazione, «se la mia realtà viene sconvolta, vuol dire che io sono del tutto inerme, inconsapevole dei reali nemici che mi circondano. Quindi... perché non ho mai visto usare questo incantesimo in battaglia?» chiese, aggrottando la fronte.
«Buona osservazione. Il problema è che anche colui che pratica l’incantesimo cade in uno stato di trance. È troppo concentrato ed immerso nella mente del suo avversario per potersi accorgere di ciò che succede attorno a lui. Ed è per questo che è sconsigliabile usarlo in battaglia, a meno di non poter agire al riparo dai nemici, o comunque, esser coperto dai compagni. Inoltre, pochi maghi hanno la capacità e la concentrazione per uscire dallo stato di incoscienza in cui si cade quando si pratica l’incanto della tortura. Auror, perlopiù... e solo i più capaci. Il rischio è infatti quello di rimanere intrappolati nella propria mente per sempre, e gli Auror sono tra i pochi che apprezzano il rischio. Non è quella che possiamo chiamare una prospettiva piacevole, vero?» chiese, vedendo Ginny sgranare gli occhi all’idea.
«Se lei è sicuro non ci sono problemi, allora».
«Oh, non si preoccupi per me! Io e il rischio siamo vecchi compari» sorrise amaramente. «Dovrebbe preoccuparsi per lei, piuttosto. Si sente pronta? È ancora in tempo per ritirarsi».
«Sono qui per affrontare questa prova» ribatté Ginny, ostentando sicurezza.
«Ottimo, allora possiamo proseguire. Cominciamo!».
Le parole di Hagrid a proposito del professore continuavano a martellare la testa di Harry, ma non c’era niente da fare: il suo ruolo quel giorno era solo ed esclusivamente quello di spettatore, spettatore di un bruttissimo film.
Ginny si posizionò di fronte al professore, le braccia rigide sui fianchi e lo sguardo fisso sulla parete. Di colpo scese un silenzio irreale. I quadri che prima bisbigliavano tra di loro tacquero all'unisono, come cicale al tramonto. Anche Harry trattenne il respiro per paura di venire sorpreso.
Dopo alcuni secondi, Uglick scandì piano: «Defactio Insinuere».
Dalla sua bacchetta scaturì lentamente un’aura rossastra; si avvolse come una rete intorno a Ginny, poi si insinuò nella sua testa.
Entrambi rimasero immobili, gli occhi serrati. Harry si rese conto che erano come assenti e le loro menti chissà dove. Tutto ciò lo spaventava. Terribilmente.
Poi l’aria si spezzò e i respiri si fecero pesanti. Qualcosa cambiò impercettibilmente. Le rughe sulla fronte del professore si ispessirono e Ginny iniziò a muoversi. Fece un passo avanti, incerta.
«Stupeficium!». Un fiotto di luce rossa esplose dalla bacchetta della ragazza, andando a colpire violentemente la libreria dietro la schiena di Harry e passando ad un soffio dal suo viso. Lui sobbalzò e si gettò a terra istintivamente.
Lei, catapultata in un mondo virtuale, vedeva cose diverse da quelle che realmente la circondavano e reagiva di conseguenza: chissà quale ricordo spaventoso stava rivivendo ora; chissà cosa vedeva intorno a sè, quali nemici e pericoli la stavano attaccando.
Ora capiva le parole della McGranitt: non era sicuramente saggio stare nella stanza durante quell’incantesimo.
La ragazza si voltò di scatto, come sentendo un rumore. Si diresse verso la porta a passi veloci, sembrava che con le braccia si proteggesse da qualcosa che le veniva scagliato contro.
Inciampò su qualcosa che non esisteva. Quando, ansimante, si rialzò, l’urlo che emise fu come una lama conficcata nel petto di Harry.
Ginny era in ginocchio, piangeva. Afferrava l’aria, l’abbracciava, l’accarezzava.
«Lurido cane bastardo, cosa gli hai fatto? È mio fratello! È MIO FRATELLO, COSA HAI FATTO! Bill!». Una disperata supplica al cielo, che nessuno avrebbe ascoltato.
«Lasciami stare! No, non voglio andare via! Prendetelo, portatelo in infermeria... siamo troppo pochi... siamo TROPPO POCHI!».
Per un attimo eterno le orecchie di Harry furono piene soltanto dei singhiozzi della ragazza.
Combatteva contro il feroce istinto di avvicinarsi a lei, quando Ginny si rialzò di scatto; lui si paralizzò.
La ragazza indietreggiò verso la scrivania, mentre con le braccia tentava di coprirsi il volto. Il suo respiro era irregolare, oppresso dall’invisibile immagine che doveva essere regina incontrastata della sua mente. Harry capiva che stava provando emozioni fortissime, destabilizzanti... avrebbe resistito? Il suo viso era così pallido che sembrava sul punto di svenire.
La voce di Ginny cancellò tutti i suoi pensieri, come una spugna su una lavagna.
«Harry... Harry sono troppi, non ce la faccio da sola! Pensa a qualcosa di felice, Harry!».
Era in ginocchio, tremante. La sua pelle era bianca e pervasa da brividi incontrollabili.
Ora Harry aveva capito, Ginny provava freddo, un freddo terribile che si insinuava nelle ossa, un freddo che lui conosceva fin troppo bene.
E seppe, così come sapeva che l’amava, chi era il ladro che le aveva rubato il colore dal viso e tolto il sorriso dal volto...
Era tutto così reale che anche per lui le voci iniziarono a tornare... quelle voci temute, ma allo stesso tempo amate, quelle voci contro cui tanto aveva combattuto.
Dissennatori.
Poteva quasi rivivere i loro gelidi respiri sul collo, la loro fremente voglia di strappare la felicità dai cuori umani.
E proprio mentre provava quella sensazione terribile dentro di sé e si immaginava al suo fianco a cercare inutilmente di spronarla, la vide reagire. Ginny si alzò, brillante di una nuova determinazione, ed urlò la sua speranza contro il vuoto.
«EXPECTO PATRONUM!». Quell’urlo trasudava tanta fiducia che Harry si sentì meglio, in tempo per vedere una cosa che lo sconvolse, forse ancora di più.
Un enorme, possente cervo illuminava la stanza, etereo e bellissimo. Il suo cervo.
Ma come era possibile? Harry era confuso: la sua bacchetta era in tasca, proprio come le sue forze in quel momento. C’era un sola spiegazione, la più sensata.
Ginny aveva lanciato l’incantesimo, il Patronus era di Ginny. Aveva cambiato forma.
Sbalordito, guardò Uglick.
Notando l’espressione del professore, il fiore nel suo cuore appassì proprio come era sbocciato. Credeva fosse finita, credeva che Ginny avesse sconfitto l’incantesimo...
Ma allora perché lei non aveva ancora aperto gli occhi? Perché sul volto di Uglick, sulla sua fronte imperlata dal sudore, sulle sue palpebre serrate, Harry poteva scorgere l’acuirsi della concentrazione? Stava ancora leggendo la mente di Ginny come un libro ed era palese che stesse forzando la mano. Il Patronus, come la riacquistata sicurezza di Harry, si dissolse in mille piroettanti puntini argentei ed il fitto buio mentale e materiale, che per poco li aveva abbandonati, tornò a spadroneggiare sull'aula e sulle loro menti.
Harry tornò ad osservare preoccupato la ragazza, ancora una volta in balia dell’incantesimo.
Per un istante, sembrò nuovamente sul punto di crollare, ma si vedeva che stava lottando con maggiore forza, tanto da riuscire a contrastare Uglick, che quasi perse l’equilibrio.
Il professore sembrò colpito da qualcosa: una sorta di shock gli deformò ulteriormente il già deturpe viso, come se avesse preso consapevolezza di quello che stava realmente accadendo nell'aula. «Basta...basta!» sussurrò Ginny; prese la testa fra le mani e la scosse violentemente come a cercare di scrollarsi di dosso qualcosa.
Proprio quando Harry aveva deciso di intervenire il professore interruppe l'incantesimo. «Defactio Finite» sputò con rabbia, fissando per alcuni secondi la ragazza, che ricambiò lo sguardo mostrando un velo di preoccupazione. «Quel nome... cosa ne sai tu?» chiese sconcertato.
Lei per tutta risposta si asciugò le lacrime velocemente e lo fissò senza più batter ciglio.
«Cinereus! Come fai a conoscerlo?» incalzò il vecchio rabbioso.
Harry sentì un flusso di sangue salire al cervello: fino a che punto si era spinto tra i ricordi di Ginny? E perché quel nome lo sconvolgeva a tal punto? Chi era Cinereus?
«PARLA! DIMMI QUELLO CHE SAI!» strillò avvicinandosi furente alla ragazza; una luce maniacale brillava nei suoi occhi. Ginny indietreggiò spaventata, Harry strinse la bacchetta pronto ad intervenire.
«Io... niente, non so niente» mormorò lei fissando i lineamenti dell'uomo distorti dalla rabbia.
Harry non poteva fare niente per lei, ma qualcun altro si!
«Alohomora» mormorò il più silenziosamente possibile mentre agguantava la bacchetta; la porta dell'ufficio si aprì.
La McGranitt, che aveva atteso la fine della prova nel corridoio, si affacciò sull'uscio e fissò la scena incredula. «Jatturius, si può sapere cosa sta ...».
Con l’interruzione della Preside, la luce negli occhi di Uglick si spense, le sue spalle si afflosciarono. Harry si chiese se si fosse reso conto della sua reazione spropositata. Perché aveva reagito così, notando quel nome nella mente di Ginny? Harry era basito. Che cosa nascondeva?
«Minerva. Perdonami, mi sono lasciato prendere la mano ...». La voce del professore era flebile, il suo volto era così stanco e segnato da una nuova, inspiegabile preoccupazione. Pareva invecchiato di cent’anni.
Poi, riscuotendosi improvvisamente, iniziò a muoversi scomposto per l'ufficio raccogliendo gli oggetti più disparati.
«Jatturius, si può sapere cosa stai facendo?».
Il professore continuò ad occuparsi delle sue cose, apparentemente non accorgendosi delle parole della preside.
«Minerva» iniziò, mentre prendeva in mano anche il pesante mantello da viaggio ancora bagnato, «Non posso più restare... cercati un nuovo insegnante».
Poi a passo incredibilmente spedito si diresse dritto in direzione di Harry. Il ragazzo fece appena in tempo a spostarsi per lasciargli il passo quando il professore, sputando qualche incerta parola, sparì nella fiamma del camino.
La McGranitt era chiaramente sconcertata dalla decisione repentina del suo collega, ma si riscosse subito e si rivolse a Ginny «Signorina Weasley, dunque... direi che il suo esame è terminato. Se vuole seguirmi, la accompagnerò prima in infermeria e poi nel mio ufficio dove i suoi genitori l’attendono».
Harry si era completamente dimenticato dei Weasley, scioccato com'era dalla reazione del professore quando aveva letto il nome di Cinereus nella mente della ragazza.
Uglick l'aveva sorpreso di nuovo. Sentiva che c'era un collegamento tra le sue visioni e quanto stava succedendo, anche se non riusciva a coglierlo pienamente. Ormai la questione andava risolta.
«I miei genitori?» chiese la ragazza. «Cosa ci fanno qui?».
«Andiamo nel mio ufficio, le spiegheranno tutto loro».
Detto questo le due donne si avviarono lungo il corridoio.
Harry si precipitò fuori dall'ufficio e raggiunse velocemente la Sala Comune.
Entrò in maniera così irruenta che Hermione e Ron si alzarono di scatto dalle poltrone e, appena videro la sua espressione grave, il loro sorriso si tramutò in una maschera di preoccupazione.
«È successo qualcosa a Ginny?» chiese Ron allarmato.
«No, lei ora è nell'ufficio della McGranitt con i tuoi genitori» rispose Harry trafelato «Sedetevi. Dobbiamo parlare».
«Cosa ...» iniziò Hermione atterrita.
Harry inspirò. «Dobbiamo pensare alla Bacchetta» disse d'un fiato, fissandoli.
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Capitolo 16 - Defactio Insinuere
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